lunedì 30 maggio 2016

GLI IMBECILLI CHE REMANO CONTRO LA CALABRIA - DIECI AUTO ELETTRICHE DESTINATE AI TURTISTI INCENDIATE A GERACE





GERACE (RC) - Ignoti hanno incendiato, nel corso della notte, alcune auto elettriche acquistate dal Comune di Gerace, nel Reggino, nell'ambito di un progetto di promozione turistica. Si tratta di mezzi ecologici che l'amministrazione guidata dal sindaco Pino Varacalli aveva messo a disposizione dei turisti per le visite nel centro storico, considerato uno dei borghi più belli d'Italia.
Domenica i mezzi erano stati inuagurati da alcuni tour operators russi e tedeschi. Gerace è tra i centri chiamati alle urne per l'elezione del sindaco. Il fatto, su cui indagano i Carabinieri, si sarebbe verificato intorno all'1,30 ed i mezzi erano in un parcheggio del Comune.
Le auto ecologiche distrutte sono dieci. Il Comune le aveva acquistate, insieme con alcune biciclette, per collegare un'area di sosta attrezzata con il borgo, grazie ad un finanziamento comunitario di 140.000 euro. Sul posto sono intervenuti i Vigili del Fuoco.
Non ci sarebbero dubbi sulla matrice dolosa dell'incendio, considerato che i mezzi non erano tutti nella stessa zona del parcheggio né erano attaccati alla rete dell'alimentazione elettrica. I mezzi, il cui valore è coperto da assicurazione, erano stati consegnati al Comune appena una settimana fa.
In attesa delle elezioni, previste per domenica, era in corso di preparazione il bando per l'affidamento della gestione. Recentemente Gerace ha ottenuto la bandiera arancione del Touring club. Numerose le manifestazioni di condanna da parte dell'associazionismo locale.
Molti gli attestati di solidarietà al sindaco e di condanna per il gesto. Tra questi, il presidente della Regione, Mario Oliverio, ha contattato il sindaco della cittadina della Locride, Pino Varacalli, «per informarsi sull'accaduto e per esprimergli incondizionata vicinanza e solidarietà».

Fonte:il quotidianodelsud.it

domenica 29 maggio 2016

NUOVA TRAGEDIA NEL MEDITERRANEO: MORTE 45 PERSONE A SEGUITO DELL´ENNESIMO NAUFRAGIO - A REGGIO SBARCANO IN 629


Sbarco a Reggio, tra le salme anche un bimbo di 8 mesi


È arrivata nel porto di Reggio la nave militare "Vega" con a bordo 629 migranti e 45 corpi recuperati in mare dopo l'ennesimo naufragio avvenuto al largo della Libia. I cadaveri raccolti in mare appartengono a 36 donne, sei uomini e tre minori con età che vanno dagli otto mesi a due anni. Tra i sopravvissuti ci sono 419 uomini, 138 donne e 72 minori di varia nazionalita' (Pakistan, Libia, Senegal Eritrea, Nigeria, Siria, Marocco e Somalia). Dei migranti arrivati in Calabria, 155 provengono dal barcone che si e' rovesciato al largo delle coste della Libia. Alle operazioni di sbarco, coordinate dalla Prefettura di Reggio, partecipano i rappresentanti del Comune di Reggio, delle forze di polizia, dell'Azienda sanitaria e ospedaliera e del 118, le associazioni di volontariato e degli organismi umanitari. Le salme, che saranno portate in alcuni mezzi appositi messi a disposizione dalla Croce Rossa Italiana, sbarcheranno per ultime. Le condizioni di salute dei migranti sbarcati sono giudicate discrete. In particolare, però, per i 155 profughi che si trovavano sul barcone rovesciatosi al largo delle coste libiche si segnalano delle ferite dovute a quella drammatica circostanza e stati d'ansia per la perdita di propri cari. Dodici sono le donne in gravidanza ci cui tre all'ottavo mese. Segnalati anche alcuni casi di scabbia. Le operazioni di primo soccorso e assistenza si stanno svolgendo dietro uno spesso cordone di forze dell'ordine. Al lavoro ci sono la Polizia di Stato, i carabinieri e la guardia di finanza, personale del Comune, della Provincia, della Capitaneria di porto, dell'Azienda ospedaliera, dell'Usmaf. Presenti gli operatori del 118 e i volontari delle diverse associazioni presenti, tra cui la Caritas, il coordinamento ecclesiale e la Croce Rossa italiana. Una volta completata questa fase si procederà al trasferimento dei migranti secondo il piano di riparto predisposto dal Ministero dell'Interno che prevede l'invio di 20 di loro in Basilicata, 125 in Campania, 25 nella Provincia autonoma di Bolzano, 100 in Friuli Venezia Giulia, 300 Lombardia mentre 34 rimarranno in Calabria. Nella Provincia autonoma di Trento arriveranno 25 nuclei familiari.
«TRA LE SALME ANCHE BIMBO DI 8 MESI» Tra le 45 salme giunte al porto di Reggio Calabria c'è anche quella di un neonato di 8 mesi: lo afferma l'associazione Comunità Papa Giovanni XXIII, i cui volontari erano presenti all'arrivo della nave che trasporta 629 superstiti e 45 corpi. «La cosa più impressionante è il container frigorifero di 17 metri che è stato predisposto al porto per ospitare le salme allo sbarco. Prego il Signore che doni agli europei occhi per vedere le necessita' e le sofferenze dei fratelli» commenta Giovanni Fortugno, del Coordinamento diocesano di cui la comunità fa parte. «Garantiamo la disponibilità all'accoglienza di tutti i minori che sono rimasti da soli» sottolinea il responsabile generale della Comunità Giovanni Ramonda, che spiega: «Sin da subito ospiteremo i familiari delle vittime per dare loro assistenza umana e supporto psicologico». 
fonte:corrieredellacalabria.it


QUANDO LA SANITÁ IN CALABRIA NON É SOLO MALASANITÁ - COME FAR SPARIRE CENTINAIA DI MILIONI DI EURO( E´ CHISSÁ QUANTI NE SPARIRANNO ANCORA....)



Massimo Scura commissario straordinario per la sanitá


Una montagna di debiti, ma anche no. Forse un po’ meno di quelli presunti oppure, chi lo sa, un bel po’ di più... All’azienda sanitaria provinciale di Reggio Calabria (Asp) dire che i conti non tornano è un eufemismo. Ci sono fatture pagate non si sa per cosa; si stima che ce ne siano alcune incassate due, forse tre volte; risultano «ignoti» parte degli stessi fornitori; sono stati liquidati valanghe di decreti ingiuntivi di pagamento e ne arrivano ancora in continuazione. Inutile dire che mai una volta a qualcuno è venuto in mente di presentare opposizione. Tale è il caos patrimoniale della Asp che nessuno — ma proprio nessuno — oggi saprebbe dire a quanto ammonta esattamente il suo debito: le cifre ipotizzate vanno da un minimo di 400 milioni di euro a un massimo del tutto indefinito. E non hanno ancora trovato il bandolo della matassa nemmeno i supercontabili della Kpmg, i revisori voluti dai ministeri di Economia e Salute per aiutare le regioni con i piani di rientro. Il loro conteggio più aggiornato (di pochi giorni fa) parla — testuale — di debito «presunto»: 276 milioni di euro al 31 dicembre 2014. Ai quali vanno aggiunte le pretese dei creditori dal 1° gennaio 2015 a oggi che potrebbero far lievitare la cifra, appunto, a 400 milioni di euro o anche più.
Se la partita fosse chiusa così andrebbe già benissimo. Il fatto è che ogni mese c’è qualcuno che si presenta dal tesoriere della banca per incassare, attraverso decreti ingiuntivi firmati dai giudici, vecchie somme mai pagate dalla Asp. E spesso — molto spesso — non si riesce a risalire alla documentazione che corrisponde a quelle fatture. Per provare a venirne a capo sono stati contattati 1.926 fornitori. La sostanza era: «Vi dobbiamo qualcosa?». Hanno risposto 788 e i loro chiarimenti sono parte del debito presunto di oggi. E gli altri 1.138? Niente. Ancora nessuna risposta. Il che significa che, potenzialmente, potrebbero essere anche tutti creditori. Senza contare il fatto che ai 1.926 contattati ne vanno aggiunti altri 607 che — scrive la Kpmg — «rimangono ignoti e non è stato possibile trovare i riferimenti in azienda». Ignoti, cioè con un nome e un indirizzo sulla carta, ma nei fatti inesistente. Sono aziende trasferite? Fallite? Chiuse? Inventate per truffare la Asp? Mistero. Come è un mistero il fatto che dai vecchi documenti risulti pagato un debito di 395 milioni di euro per fatture che però, in gran parte, non si sa a cosa si riferiscano.
Il bilancio inesistente
Com’è possibile?, viene da chiedersi. Semplice: per anni e anni i responsabili amministrativi della Asp non hanno preso nota dei conti pagati e, quindi, non li hanno cancellati dalla lista dei debiti. Non sono mai esistiti libri contabili obbligatori. Né ha funzionato la comunicazione fra la Asp e il tesoriere (Banco di Napoli e poi Banca Nazionale del Lavoro) che liquidava le somme ai creditori prelevandole dall’Azienda sanitaria. Men che meno si è potuto registrarle nel bilancio, almeno finché c’è stato un bilancio. Perché per il 2014 e 2015 il bilancio non esiste. Semplicemente non è stato presentato. Non pervenuto. Risultato: si naviga a vista e nessuno osa prendersi la responsabilità di firmare questo o quel debito da liquidare, perché nessuno può avere la certezza che lo stesso debito non sia stato già pagato. È anche per questo motivo che negli uffici contabili della Asp è una specie di corsa alle dimissioni.
L’esperto da 600 euro al giorno
Massimo Scura — il commissario straordinario mandato dal governo l’anno scorso a riorganizzare la sanità calabrese — racconta tutto il suo sconcerto: «Ho chiesto al direttore della ragioneria di fare le verifiche sul pagamento delle fatture e decidere quali chiudere e quali no. Era un suo compito. Mi ha risposto, testuale: non ci penso nemmeno lontanamente, non posso essere certo di non pagare per la seconda volta. Gli ho detto che allora poteva dimettersi e così ha fatto: si è dimesso dall’incarico ed è passato altrove». Allora Scura è andato dai vertici amministrativi: «Ho detto al responsabile: toccherebbe a lei, e sa che ha fatto questo signore? Si è messo in malattia per 15 giorni dopodiché si è dimesso anche lui dall’incarico». Terzo passaggio: «Ho nominato un advisor preso da fuori per evitare possibili pressioni ambientali». Tanto per chiarire: un super esperto a 600 euro (lordi) al giorno. Dice Scura: «È durato tre mesi e poi è scappato anche lui accampando scuse varie, secondo me invece se n’è andato proprio per le pressioni ambientali anche se non l’ha mai detto chiaramente».
Adesso il progetto del commissario è creare una squadra ad hoc: «Metterò in piedi una macchina feroce e usciremo da questo pantano» promette, ignorando chi parla di bancarotta imminente o chi lo accusa di immobilismo. Sa bene che molto dipenderà da quanti creditori si presenteranno all’incasso nei prossimi mesi. Magari si riuscirà a smascherarne qualcun altro dopo «il tizio che voleva sei milioni di euro — racconta lui —: stavano per pagare le sue fatture quando hanno scoperto che le avevano già liquidate a un altro...». Da queste parti «sanità = bancomat», dicono tutti. Chi ha «prelevato» senza averne diritto ha impoverito risorse e servizi di un territorio che serve circa 350 mila utenti e che conta gli ospedali di Locri, Polistena, Melito Porto Salvo, Gioia Tauro e Palmi. La conseguenza di quell’impoverimento sul territorio è stata una richiesta di assistenza sempre più grande per gli Ospedali Riuniti della città di Reggio, punto di riferimento per altri 200 mila utenti. Ma a Reggio non riusciranno ancora per molto a farsi carico dei servizi non garantiti nella provincia. Quindi delle due l’una: o la Asp rimette a posto i conti e rialza la testa oppure trascina giù anche l’azienda ospedaliera reggina, in equilibrio da 15 anni e che nel 2015 ha chiuso i conti con 600 mila euro di attivo: «Temo sia l’ultima volta» avverte il direttore generale Frank Benedetto.
fonte:Giusi  Fasano e Carlo Macrí per corriere.it

venerdì 27 maggio 2016

ARRESTATO L´ASSASSINO DELLA DONNA BRASILIANA UCCISA A BELVEDERE - ERA GIÁ STATO IN CARCERE PER UN PRECEDENTE OMICIDIO - AVEVA SCONTATO SOLO 15 ANNI




COSENZA - E’ stato arrestato dai carabinieri il responsabile dell’omicidio di Silvana Rodrigues De Matos, la donna brasiliana di 33 anni ritrovata cadavere in auto carbonizzata a Belvedere Marittimo lo scorso dicembre.

Secondo quanto emerso dalle indagini svolte dai carabinieri della Compagnia di Scalea e coordinate dalla Procura di Paola, l'autore sarebbe Sergio Carrozzino, sorvegliato speciale di 44 anni, che ora dovrà rispondere di omicidio volontario aggravato e occultamento di cadavere.
L’uomo era stato scarcerato nell’aprile 2015 dopo aver espiato una condanna definitiva a 15 anni di reclusione per l’omicidio del fratello del cognato della donna assassinata. Un delitto che, però, secondo gli investigatori, non avrebbe legami con quello della donna.
L'omicidio della Rodrigues invece potrebbe essere stato innescato da un rifiuto ad un approccio protratto nel tempo. La donna, sposata e madre di due bambini, secondo la ricostruzione degli investigatori, potrebbe essere stata uccisa fuori dall’auto e poi il cadavere messo nella vettura a cui l'autore del delitto dette fuoco. Le fiamme distrussero quasi completamente il corpo, lasciando solo piccoli frammenti ossei. Da qui la contestazione del reato di occultamento di cadavere e della quasi impossibilità di risalire alla causa della morte.

fonte:quotidianodelsud.it



giovedì 26 maggio 2016

LA SCOMPARSA DI MARIA CHINDAMO - PER GLI INQUIRENTI NON C´ENTRA LA ´NDRANGHETA - LA SOLUZIONE DEL GIALLO VA RICERCATA IN FAMIGLIA ?








La nebbia sul caso di Maria Chindamo, l´imprenditrice di 44 anni di Laureana di Borrello, scomparsa il 5 maggio nei pressi dell´azienda agricola situata tra Nicotera e Limbadi, sembra pian piano diradarsi. Negli ultimi due giorni,infatti, sono stati numerosi i controlli, le perquisizioni e gli accertamenti che la procura di Vibo Valentia ha disposto nei confronti di aziende agricole ed abitazioni situate in provincia di Vibo, a Laureana di Borrello, Rosarno ed in alcune aree della Piana.
Se gli investigatori " escludono " che a far sparire la donna ed ucciderla, su questo purtroppo ormai vi sono pochi dubbi, sia stata la ´ndrangheta, la pista privilegiata rimane quella di un " regolamento di conti " di sapore familiare.
Non bisogna sottovalutare,infatti, la data della scomparsa della donna. Il 5 maggio era esattamente un anno da quando il marito, Ferdinando Puntoriero, aveva deciso di farla finita. E lo aveva fatto, presumibilmente, perché Maria Chindamo aveva deciso di lasciarlo. I due,infatti, vivevano separati da qualche giorno.
 Gli inquirenti si tengono abbottonati, ma qualche dichiarazione del tipo " si tratta di una vicenda dai contorni molto brutti " lascia intendere che con ogni probabilitá chi ha pianificato il sequestro,l´omicidio e la sparizione del cadavere, siano persone in un certo senso molto vicine alla donna.
Anche la dinamica del ritrovamento dell´automobile sul luogo della scomparsa lascia intendere che Maria Chindamo conoscesse chi l´ha fermata. Il motore era ancora acceso e qualche macchia di sangue era stata trovata all´interno.Forse si é fidata della persona e l´ha fatta salire.A quel punto é stata colpita e trascinata con forza fuori dall´abitacolo,dove sono state rinvenute altre macchie di sangue, quindi caricata su un altro mezzo e portata via. Ecco il motivo per cui gli investigatori hanno puntato controlli e perquisizioni su mezzi e aziende agricole di persone che in un certo senso hanno a che fare con l´imprenditrice. Sperano di trovare altre tracce ematiche e cosí poter chiudere il cerchio.
" Non sará agevole poterne venire a capo " dicono dalla procura, anche se, presumiamo, questa possa essere interpretata come una dichiarazione non proprio di senso negativo.





mercoledì 25 maggio 2016

IL PONTE ELETTRICO SULLO STRETTO DI MESSINA É COSA FATTA - UN´OPERA TRA LE PIÚ IMPORTANTI AL MONDO - TRA QUALCHE GIORNO L´INAUGURAZIONE



Collegamento tra Calabria e Sicilia (Sorgente – Rizziconi) 


Sta  finalmente per vedere la luce, é il caso di giorcarci su, dopo il solito travaglio all´italiana fatto di denuncie,querele,sequestri,processi e quant´altro, il ponte elettrico sullo stretto di  Messina che Terna, operatore di reti per la trasmissione dell´energia, ha appena finito di costruire.
L’opera, ormai ad un passo dall´inaugurazione, unirà la Sicilia e la Calabria attraverso un collegamento di 105 km, di cui 38 km in cavo sottomarino, tra Sorgente (ME) e Rizziconi (RC), il più lungo cavo sottomarino in corrente alternata a 380 kV mai realizzato al mondo. L’elettrodotto, per il quale Terna investirà oltre 700 milioni di euro, migliorerà la qualità e la sicurezza della rete elettrica siciliana, vetusta e poco interconnessa con il resto del Paese. Una volta completata, l’opera consentirà numerosi benefici anche in termini ambientali: a fronte della realizzazione di 82 km di nuovi elettrodotti nelle provincie di Messina e Reggio Calabria, verranno interrati 67 km e demoliti 170 km di linee aeree esistenti. Il nuovo elettrodotto consentirà, inoltre, un risparmio di emissioni di CO2 pari a circa 670.000 tonnellate l’anno.Risparmio che sará anche economico perché proprio grazie a questo ponte arruverá piú corrente in Sicilia e la spesa della bolletta diminuirá di circa 600 milioni di euro.

Questa la scheda di regioni e comuni interessati dall´attraversamento dei cavi:
Regioni: Sicilia, Calabria
Province: Reggio di Calabria, Messina
Comuni: Taurianova, Roccavaldina, Torregrotta, Rizziconi, Scilla, Valdina, Oppido Mamertina, Sinopoli, Cosoleto, Messina, Saponara, Spadafora, Varapodio, Pace del Mela, Rometta, San Pier Niceto, Monforte San Giorgio, San Filippo del Mela, Sant'Eufemia d'Aspromonte, Condro', Venetico, Villafranca Tirrena

L´EX SINDACO DI REGGIO SCOPELLITI CONDANNATO A PAGARE 300 MILA EURO PER " L´ACQUISTO DI BENI INUTILI PER L´INTERESSE PUBBLICO "


Giuseppe Scopelliti

E’ stata confermata dalla Cassazione la condanna erariale a risarcire la pubblica amministrazione con 300 mila euro inflitta dalla Corte dei Conti a Giuseppe Scopelliti, ex sindaco di centrodestra di Reggio Calabria dal 2002 al 2010 ed ex presidente della Regione, per aver stipulato nel 2004 il contratto di acquisto dell’ex stabilimento di trasformazione degli agrumi "Italcitrus", in stato di totale abbandono e pieno di amianto, al prezzo di due milioni e mezzo di euro interamente a carico del Comune, cifra richiesta dall’imprenditore Emidio Francesco Falcone.
I terreni acquistati e i capannoni non furono «mai riconvertiti, in seguito, ad alcuna utilizzazione proficua per la collettività», nonostante la necessità dell’acquisto fosse stata motivata per ospitare un "fantomatico" centro della Rai. Scopelliti, «la cui azione era risultata trainante in tutta l'operazione», rileva la Suprema Corte nel verdetto 10814, in primo grado era stato condannato dalla Corte dei Conti della Calabria, nel 2009, a risarcire il danno con 697.511 euro perchè i giudici contabili avevano ritenuto che fosse stato corrisposto «un prezzo largamente superiore» al valore del bene immobiliare, oltre al fatto che era stato acquistato un bene «inutile rispetto all’interesse pubblico».
In secondo grado, invece, la Corte dei Conti sezione centrale, nel 2014, aveva ridotto l'entità del risarcimento a 300mila euro dopo aver eliminato la prima voce di addebito per via «dell’incertezza del reale valore di mercato del complesso immobiliare, alla luce delle diverse stime espresse in più perizie», e lasciando fermo invece il secondo motivo di addebito relativo alla inutilità dell’acquisto. Per questa vicenda, è stata messa sotto ipoteca la casa coniugale di Scopelliti.

fonte:ilquotidianodelsud

SPROFONDA FIRENZE - QUANDO I DISASTRI IDROGEOLOGICI NON COLPISCONO SOLTANTO LA CALABRIA - É ALLARME IN TUTTA ITALIA


firenze voragine lungarno 9
















Soltanto una settimana fa Legambiente aveva lanciato l´ennesimo allarme: 7 milioni di persone in Italia sono a rischio frane e inondazioni e in 1074 comuni sono presenti abitazioni e aree a rischio. Solo nel 2015 i morti causati da frane e alluvioni sono stati 19, 25 i feriti e quasi 4.000 persone evacuate o rimaste senza tetto in 19 delle venti regioni italiane.Per non parlare poi delle decine di miliardi che servono per la ricostruzione e la messa in sicurezza di alvei e fiumi. In questo contesto arriva la notizia che questa mattina a Firenze si é sfiorato il disastro (t.p.).

Una voragine di circa duecento metri per sette di larghezza si è aperta sul Lungarno Torrigiani, tra Ponte Vecchio e Ponte alle Grazie, in pieno centro di Firenze. Il cedimento è avvenuto attorno alle 6.30 ed ha coinvolto una ventina di auto che erano parcheggiate in sosta.

Non ci sono feriti. A provocare il cedimento, secondo quanto spiegato dai vigili del fuoco, la rottura di un grosso tubo dell'acqua. La rottura, oltre a provocare il crollo, ha causato l'allagamento della voragine sommergendo in parte le vetture cadute all'interno. Sul posto anche polizia di Stato e municipale. Il Lungarno è stato chiuso al traffico.


Vigili del fuoco e genio civile non possono escludere che lo smottamento possa continuare: lo ha detto lo stesso sindaco Nardella che ha anche invitato i cittadini a non usare l'auto per raggiungere la zona dell'Oltrarno in cui si è verificata la voragine. Intanto i residenti vengono contattati per spostare le auto in prossimità della zona in cui si è aperta la voragine. Verifiche anche sulla spalletta del lungarno che ha retto ma che sarebbe danneggiata.

Senza acqua alcune abitazioni in città. "Problemi di approvvigionamento idrico che si stanno registrando in queste ore sono causate da due grossi guasti sulla rete idrica che hanno interessato questa notte via Guicciardini e nelle ore successive Lungarno Torrigiani - fanno sapere da Publiacqua, la società erogatrice -. Sono in corso manovre sull’impianto dell’Anconella che limiteranno l’approvvigionamento idrico in alcune zone della riva sinistra d’Arno. Problemi di abbassamenti di pressione e mancanze d’acqua potranno quindi interessare anche i comuni limitrofi della piana"...
firenze lungarno voragine 4FIRENZE LUNGARNO 



Questa notte c'è stato un grave smottamento in lungarno Torrigiani a causa della rottura delle tubazioni principali dell'acqua sulla riva sinistra. Nessun danno a persone. Siamo sul posto con Municipale vigili del fuoco e tecnici. Chiusa la rete idrica tra Oltrarno e Campo di Marte. Chi ha la macchina parcheggiata nella zona vicina a quella smottata la rimuova con urgenza.
firenze lungarno voragine 1
nardellaNARDELLAfirenze lungarno voragine 5




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fonte:larepubblica.it

martedì 24 maggio 2016

DUE CARTUCCE ED UN FOGLIO CON SU SCRITTO:"DIMETTITI " - QUESTE LE MINACCE AL VICE-SINDACO DI RIACE

Il sindaco di Riace, Mimmo LucanoIl sindaco di Riace, Mimmo Lucano
RIACE Intimidazione a Maurizio Cimino, vice sindaco di Riace, il comune della Locride, noto per i Bronzi e per essere ormai diventato il "paese dell'accoglienza". Lo scrive il Quotidiano della Calabria. Cimino ha trovato sul parabrezza della propria auto una busta contenente due cartucce di fucile calibro 12 e un biglietto con scritto "Dimettiti". L'amministratore ha subito denunciato il fatto ai carabinieri che hanno sequestrato il materiale e avviato le indagini. 
«Non mi sarei mai aspettato – ha dichiarato Cimino – un simile gesto, né riesco a pensare a qualcosa che ha spinto ignoti a indirizzare nei miei confronti un tale atto». Cimino è il vice di Domenico Lucano, il primo cittadino che la rivista americana "Fortune" ha inserito al 40/mo posto della classifica dei 50 leader più influenti del mondo per l'esperienza di accoglienza e integrazione dei migranti, e che ha fatto di questo piccolo centro della Locride una sorta di vero e proprio modello di società multiculturale.
«Non ho nessuna idea sul perché di questo gesto – ha detto ancora Cimino –. Non credo ci siano motivi personali. Ho sempre lavorato con la massima trasparenza senza fare torti a nessuno». Quell'avvertimento è «un gesto che umanamente colpisce, ma non farò un solo passo indietro. Ho sempre lavorato per il bene del Comune assieme al sindaco Lucano e continuerò a farlo. Sono sicuro che i carabinieri riusciranno a fare il loro dovere». 
fonte:corrieredellacalabria.it

DALLA CONFERENZA EPISCOPALE CALABRA SOLIDARIETÁ AL VESCOVO MILITO : " DOVE C´É LA CALUNNIA C´E´SATANA "




La Chiesa calabra ha preso immediatamente posizione a favore del Vescovo Francesco Milito dopo lo spiacevole episodio di domenica scorsa, quando in alcuni paesi della diocesi di Oppido-Palmi, sono apparsi numerosi manifesti che invitavano il prelato a lasciare la diocesi. Nel manifesto Mons. Milito veniva accusato di aver coperto in piú occasioni alcuni sacerdoti e tra questi uno in particolare, arrestato per un caso di pedofilia avvenuto nella parrocchia di Messignadi, popolosa frazione di Oppido.. La conferenza episcopale calabra ha accusato di calunnia gli estensori del manifesto riportando in proposito un brano di un´omelia di Papa Francesco. Di seguito il comunicato stampa.





CONFERENZA EPISCOPALE CALABRA




Solidarietà a Mons. Francesco Milito, Vescovo della diocesi di Oppido-Palmi



L’ufficio di presidenza della Conferenza Episcopale Calabra esprime dolore ed amarezza, ed al tempo stesso sdegno e condanna, per l’ignobile campagna diffamatoria ai danni del confratello Francesco Milito, vescovo della diocesi di Oppido-Palmi, oggetto di volantini e manifesti, tutti peraltro anonimi, contenenti violenti accuse all’indirizzo del Presule. Nell’esprimere fraterna vicinanza a monsignor Milito, la Cec auspica che episodi del genere non abbiano più a verificarsi, nel rispetto delle più elementari regole della convivenza civile e del monito di Papa Francesco, che spesso ci ricorda – come nel corso della messa mattutina a Santa Marta nell’aprile del 2013 - che tutti commettono peccati, «ma la calunnia è un’altra cosa. La calunnia nasce dall’odio. E chi fa l’odio è Satana. La calunnia distrugge l’opera di Dio nelle persone, nelle anime. Utilizza la menzogna per andare avanti. E dove c’è calunnia c’è Satana, proprio lui».

lunedì 23 maggio 2016

" PE LU NOMI DI GESÚ NESCI MALOCCHIU E NON TORNARI CCHIÚ " - IL MALOCCHIO E LA JETTATURA NELLE CREDENZE POPOLARI





Le credenze popolari hanno sempre guardato con molto interesse al mondo dell’occulto, conferendo agli esperti nell’arte dello scongiuro, che conoscevano molto bene i segreti della magia bianca, un’aureola divinatoria.
Non si spiega diversamente, infatti, il ricorso che una volta si faceva a queste persone, che volevano apparire profondamente cattoliche, anche se operavano nel campo dell’occulto, facendo pratiche divinatorie ed esoteriche che in genere sono contro la morale cristiana, avendo come culto Satana. Ma il popolino credulone, formato da gente che lavorava i campi, pur andando in chiesa, non sapeva che era peccato affidarsi con vera fede a questi maghi che, quasi sempre, dicevano di avere tolto ‘u pivulu (il malocchio) dalla persona che ne era stata colpita. E succedeva che, spesso, invece di affidarsi alla medicina, o rivolgersi direttamente a Dio, per qualche male fisico o qualcosa che proprio non andava bene, ricorrevano anche al fai da te per i bisogni più immediati… Una delle prime pratiche consisteva nel portare in tasca un po’ di sale o portare addosso qualche cornetto d’oro, se non rosso, che appendevano in macchina oppure esponevano davanti ad un’abitazione, nella stanza, o sulla culla dei bambini. In tempi passati, più che remoti, si faceva ricorso anche alle corna di capra o di bue, che venivano esposte davanti ad un’abitazione per preservare dal malocchio chi vi abitava, o si appendeva un panno rosso al balcone o ad una casa in costruzione. Una pratica vera e propria, largamente usata per togliere il malocchio (sciumicari), era quella che prevedeva la presenza, sul luogo dello scongiuro, della persona contro cui era stato indirizzato l’influsso malefico, oppure far pervenire a chi praticava questo tipo di magia bianca (da non confondere con quella nera, che poteva essere letale per la persona contro cui veniva praticata) un oggetto che le appartenesse e di cui si serviva spesso, come un fazzoletto, oppure una fotografia.
Non occorreva essere maghi – dicevano certi esperti in materia – per purificare chi era stato colpito da un male occulto, cacciari ‘u pìvulu insomma, ma solo conoscere tutto il rituale magico che bisognava osservare facendo questi scongiuri. Se la pratica veniva fatta davanti alla persona interessata, il “guaritore” gli praticava sulla fronte per tre volte il segno della croce col pollice destro, dicendo: «Cu’ t’affrosciau, ‘u cori ti ntassau, ‘u cori cu la menti, ‘u frasciu non è nenti» (chi ti ha afflosciato, il cuore ti ha gelato, il cuore con la mente, ma il male non è niente). Il guaritore rifaceva per altre cinque volte il segno di croce sulla fronte della persona docchjata, cioè colpita dal malocchio, aggiungendo: «Sapienza e santi vangeli, ogni cosa storta ‘i stu cristianu pammi speri: s’è occhju, malocchju, jettatura, malincunia, pìvulu, fattura,‘i si ndi vaji nto mari, aundi non avi non nimali e non cristiani, a nomu di la Santa Sampasia, nuglia cosa poti pigghjari si non passa ‘i manu mia» [sapienza e santi vangeli, sparisca ogni cosa cattiva da questo cristiano: se è occhio, malocchio, iattura, malinconia, pivulu, fattura, che se ne vada in mare, dove non ci sono né animali né cristiani, in nome della Santa Sampasia (intraducibile), nessun male possa avere effetto se non passi dalle mie mani].
E intanto, dopo avere fatto incrociare le mani della persona da guarire per tre volte, le faceva ripetere l’esercizio anche coi piedi, prima per tre e poi per altre cinque volte, riprendendo ad enunciare la sua formula magica di scongiuro: «Occhju di mari e lupu di montagna,‘u peri, mi squagghja e mi si ndi vaji ‘nto mari aundi non avi non nimali e non cristiani, e a chigliu locu aundi poti stari. A nomu di la Vergini Maria, tutt’i cosi storti ‘i si ‘ndi vannu p’’a via» (occhio di mare e lupo di montagna, che perisca, sparisca, andandosene nel mare dove non ci sono né animali né cristiani. In nome della Vergine Maria, tutte le cose storte se ne vadano per la via). Il guaritore che aveva operato la pratica dello scongiuro incominciava a sbadigliare in attesa di notare se la persona da guarire incominciasse anche lei a fare lo stesso (χjarmijari), cosa che, immancabilmente, succedeva subito per contagio, ricevendo così il segno delle sue avvenute intercessioni presso gli spiriti invocati.
Quando ciò avveniva (quasi sempre), il guaritore emetteva la sua diagnosi: che “l’ammalato” era stato docchjatu e che gli effetti malefici del malocchio erano stati scacciati via. Ma la pratica di scongiuro più diffusa, ancora oggi, fra i ceti sociali più bassi del mondo rurale, è quella che si esegue con una tazza piena d’acqua nella quale vengono versate alcune gocce d’olio. Se l’olio, invece di restare concentrato sulla superficie dell’acqua in un’unica goccia, si sparpaglia, significa che la persona da guarire è stata docchjata, cioè ha ricevuto il malocchio. In tal caso, il guaritore dà inizio ad alcune formule di scongiuro, dette a mezze frasi sulle labbra, senza far capire nulla ai presenti, ripetendo continuamente tutta una litania con una serie di croci fatte sulla fronte “dell’ammalato” per debellare il male occulto. La conferma che l’individuo è stato realmente docchjatu avviene solo dopo che il guaritore, o (quasi sempre) la guaritrice, incomincia a χjarmijari, cioè a sbadigliare per alcune volte, mentre tra le persone presenti si avverte un senso di liberazione per l’avvenuta guarigione e un «Oh…» prolungato di compiacimento suggella così un rituale che, come si dice in questi casi, trova il suo fondamento nella genesi agreste di quella gente semplice che c’era una volta, perdendosi lontano nella notte dei tempi.
Eppure, nonostante prendiamo le distanze da quel mondo di ieri, che qualche volta ha visto anche noi bambini “vittime sacrificali” di qualche rito per scongiurare il malocchio, specie quando la mamma ci diceva che eravamo docchjatiperché non volevamo mangiare, prendere la purga di olio di ricino o avevamo la febbre, la nostalgia per quel mondo fatto di piccole-grandi cose, ritorna intatta sulle ali della memoria. E questo non perché vorremmo tornare bambini, ma perché a molti di noi manca la purezza di quel mondo e di quella gente che era fedele alle leggi di Dio e degli uomini, anche se si affidava alla magia per guarire un male psicofisico! Ma erano generazioni che hanno scritto pagine di storia indelebile di lotte per sopravvivere, guadagnandosi il pane col lavoro dei campi, e sacrificandosi per le cause giuste della vita… «É una civiltà che scompare, e su di essa non c’è da piangere – scriveva Corrado Alvaro – ma bisogna trarre, chi ci è nato, il maggior numero di memorie», vorrei ripetere anch’io le parole del mio quasi compaesano di San Luca, ma non lo faccio, perché chissà quante e quante volte le abbiate lette e rilette…

fonte:franco blefari per Inaspromonte.it

HAI SCRITTO MALE DI ME ? ALLORA DICO A TUTTI CHE SEI GRASSA E FAI SCHIFO - QUANDO IL SINDACO OFFENDE IL GIORNALISTA - ACCADE A NICOTERA


Giornalista denigrata per il suo aspetto fisico Enza Dell'Acqua querela il sindaco e l'assessore alla Cultura del comune di Nicotera

Pubblico con piacere l´accorata lettere della collega Enza Dell´Acqua per evidenziare ancora una volta il contesto in cui un giornalista calabrese o siciliano o campano é costretto a lavorare. E, badate bene, i pericoli maggiori non vengo solo dalla ndrangheta ma, forse ancora di piú, dalla cosiddetta societá civile quella,per intenderci, che dovrebbe essere in prima linea nella lotta alla criminalitá, quella che dovrebbe dare l´esempio nel campo della cultura e dello sport, la societá che fa impresa e che fa sindacato. Una societá civile che,come sottolinea la collega Dell´Acqua nella sua lettera, é ormai permeata " DA UNA MENTALITÁ MAFIOSA RADICATA CHE SI FA INTOLLERANTE ED AGGRESSIVA NEI CONFRONTI DEL GIORNALISTA" . Ma é soprattutto la societá che fa ISTITUZIONE, che amministra la cosa pubblica e che dovrebbe essere il faro ed il punto di riferimento di ogni comunitá,piccola o grande che sia, la piú sensibile alle critiche.
Critiche, che  vengono intese,quasi sempre, come attacchi alla persona,a questo o quel sindaco, a questo o a quell´assessore. Bisogna uscire da questa mentalitá se vogliamo davvero dare una speranza a queste terre, capire che la notizia non é una critica o un´offesa all´individuo, ma uno stimolo a correggere e migliorare gli eventuali errori commessi e soprattutto a non ripeterli.





Mi chiamo Enza Dell’Acqua. Scrivo per il Quotidiano del Sud dal novembre del 2012. Sono regolarmente iscritta all’Ordine dei Giornalisti.
Scrivere per il contesto dove vivo è una vera e propria sfida. Un’esperienza entusiasmante, da un lato, perché mi porta a scandagliare a fondo le dinamiche sottese a un ambiente difficile. Ma dall’altro è un percorso continuamente costellato da insidie e ostruzionismi di ogni genere. Il comune di Nicotera – e il territorio vibonese – come le cronache dimostrano, è fortemente segnato dalla presenza, ormai pervasiva, della ‘ndrangheta. Nello specifico, il consiglio comunale nicoterese è stato sciolto per due volte, su richiesta della Prefettura, per la conclamata presenza di infiltrazioni mafiose nell’esecutivo. E si appresta ad essere sciolto per mafia una terza volta, poiché l’attuale Giunta, guidata dal sindaco Franco Pagano, è stata attenzionata dal prefetto. Il sospetto è sempre lo stesso: eventuali condizionamenti da parte della criminalità organizzata. Lo scorso febbraio è arrivata a Nicotera la commissione di accesso agli atti che sta tuttora indagando su quanto prodotto dall’amministrazione Pagano.
Io opero in questo contesto. In cui, oltre alla mafia vera e propria, quel che rende la vita difficile è la radicata mentalità mafiosa. Una mentalità che si fa intollerante, se non aggressiva, nei confronti di un giornalista che cerca di onorare la professione che svolge, additando i problemi del territorio, sollevando questioni inerenti la sicurezza, l’ambiente, la gestione del denaro pubblico. E che opera con coraggio, in un vero e proprio covo di vipere. Minacce e intimidazioni, ne ho subite parecchie, in forme palesi e velate. Nel 2014 denunciai l’assessore Salvatore Cavallaro che, all’uscita di un consiglio comunale mi intimò di non parlare di lui altrimenti sarebbe venuto a trovarmi a casa. Proprio ieri mi sono vista costretta querelare il sindaco e l’assessora alla Cultura Mariella Calogero, i quali entrambi mi hanno pesantemente insultato, in contesti pubblici, facendo riferimento alla mia fisicità, essendo io in sovrappeso.
Ho raccolto le prove e mi sono recata in caserma dove ho sporto regolare denuncia.

domenica 22 maggio 2016

" VATTENE E LASCIACI IN PACE " DI NUOVO NELLA BUFERA IL VESCOVO DELLA DIOCESI DI OPPIDO-PALMI


manifestovescovomilitodi Claudio Cordova - Sarebbe comparso nelle prime ore del giorno in vari luoghi della Diocesi di Oppido Mamertina-Palmi, quella che ha competenza sul difficile territorio della Piana di Gioia Tauro, soffocata dallo strapotere delle cosche di 'ndrangheta e dal sottosviluppo economico. Ignoti gli autori del testo e del volantino, affisso in diversi comuni, ma chiarissimo il messaggio contro il vescovo monsignor Francesco Milito.

Anzi, (mon) sign. Francesco Milito, come recita l'incipit del testo.

Un manifesto-choc contro il vescovo, accusato da una o più persone di fatti gravissimi. Nel testo, infatti, con l'ironica dell'anafora, viene "ringraziato" il vescovo Milito di vere e proprie nefandezze: "Grazie perché con la tua manifesta complicità nei reati contro i minori, hai dato un grande impulso al nostro senso della giustizia ormai da tempo fiaccato dalla tua omertà, dal tuo abuso di potere, dalle tue minacce segrete, dalla tua abilità e destrezza a comprarti la verità per tirarti fuori e rimanere illeso. Grazie perché con le tue scelte hai tutelato e tuteli i nostri figli, i giovani, il nostro futuro, la nostra speranza, proprio come il lupo tutela le pecore. Quanto sangue innocente ancora spargerai, prima di accorgerti del male che stai facendo alle nostre famiglie, alla nostra terra?".

La figura del vescovo è emersa, in maniera inquietante, nella storia che ha coinvolto e portato all'arresto di don Antonello Tropea, parroco di Messignadi (frazione di Oppido Mamertina), accusato – e attualmente a processo – di sesso con minori. Dalle carte che accusano il prete, infatti, emergerebbe la perfetta conoscenza delle condotte di don Tropea da parte del vescovo Milito che, non solo avrebbe coperto le azioni del parroco, ma, anzi, lo avrebbe incitato a non dire nulla alle forze dell'ordine che indagavano sul giro di sesso a pagamento in cui sarebbe stato coinvolto don Tropea.( per saperne di piú su questo caso leggi il post del 3.2.16)

Una vicenda su cui tanti – e tra questi Il Dispaccio – hanno chiesto l'intervento di Papa Francesco. Un intervento che fin qui non c'è stato. Anzi. Il vescovo Milito ha continuato la propria opera e, recentemente, ha anche nuovamente autorizzato lo svolgimento delle processioni religiose, bloccate dopo i vari "inchini" delle varette nei confronti di alcuni boss del luogo.

La rabbia nei confronti del vescovo Milito esplode ora in forma violenta, sebbene anonima: "Grazie perché il tuo smisurato amore per il prossimo ti ha portato a servirti di ciò che siamo, di ciò che abbiamo di più caro, per le tue manie di grandezza, di potere, di protagonismo. Quando ti renderai conto dei pesi insopportabili che hai caricato sulle spalle della povera gente e che gli altri non sono dei giardini per la tua scalata alle vette? Grazie perché in te vediamo il cives, impeccabile fautore della legalità, imparziale, dinanzi al quale ci sentiamo persone sporche, per essere incorsi in un pignoramento immobiliare o in una diffida dai gestori delle utenze domestiche, per assicurare almeno il pane sulla nostra tavola. Per quanto ancora la nostra comunità deve subire il tuo arrogante clientelismo?" si chiede la "mano" autrice del volantino.

Monsignor Milito, tuttavia, sarà criticato anche per la "mano morbida" usata nei confronti del prete – don Scordo - che non avrebbe prestato attenzione alle denunce della giovane Anna Maria Scarfò, ragazza della Piana di Gioia Tauro violentata per anni dal branco. Quel branco che è stato riconosciuto colpevole dalla Cassazione per gli orrori perpetrati sulla giovane.

Un vescovo accusato, quindi, di nefandezze. E, una volta verificata la paternità dello scritto e, ovviamente, la veridicità delle gravissime affermazioni contenute sul volantino, resta da capire se l'esperienza di monsignor Milito possa continuare nella Diocesi di Oppido Mamertina-Palmi: "Grazie perché dai tuoi incontri abbiamo imparato che il Pifferaio Magico non è solo una fiaba, ma la realtà in cu viviamo, ogni volta che la tua meschina diplomazia chiede asilo alle nostre menti, celando la sua vera natura di plagio e inganno. Per quanto credi che ancora funzionerà questo tuo metodo di manipolazione delle coscienze? Grazie perché ci hai privato di tutto: dei nostri figli, della nostra dignità, del nostro onore, del nostro orgoglio, ma non della nostra libertà. Mai prima di adesso la nostra terra ha conosciuto un'epoca di così grave decadenza morale, sociale, economica, ad opera di un vescovo, che nel nome di Dio stermina il Suo popolo, domandando, con massima indifferenza, le ragioni della causa, per accertarsi della riuscita della sua spietata e malvagia impresa" si legge ancora nel volantino.

Dopo accuse così gravi, inevitabile la chiosa dello scritto, che chiede a chiare (e cubitali) lettere al vescovo di andar via: "Ma il nostro GRAZIE sarà ancora più corale, il giorno in cui lascerai la nostra terra. Quando prenderai coscienza che qui, ormai, non è più il tuo posto! Quando deciderai di porre fine a tutto il male che ci stai facendo, prima che l'ultimo spiraglio di speranza cessi definitivamente di esistere. VATTENE E LASCIACI VIVERE IN PACE!!!".

fonte:ildispaccio.it