mercoledì 1 giugno 2016

PATRIMONIO DI QUASI 350 MILIONI DI EURO CONFISCATO AD IMPRENDITORE OLEARIO DELLA PIANA DI GIOIA TAURO - VILLE, ALBERGHI, TERRENI E SOCIETÁ PER LA DDA DI REGGIO SONO IL FRUTTO DI TRUFFE




REGGIO CALABRIA Grazie a contributi comunitari indebitamente percepiti, agevolazioni fiscali e artifizi contabili, negli anni è riuscito ad accumulare un impero, ma l’epoca d’oro del re dell’olio della Piana di Gioia Tauro è finita. È di oltre 324 milioni di euro il valore del patrimonio confiscato oggi a Vincenzo Oliveri, imprenditore della Piana di Gioia Tauro, divenuto un punto di riferimento nazionale tanto nel settore agricolo, come in quello alberghiero e dei servizi. Case, ville, alberghi, terreni, automezzi, titoli, disponibilità finanziarie aziendali e personali, società attive in Calabria, Abruzzo ed Emilia Romagna - tutte riconducibili alla famiglia Oliveri - sono state confiscate per ordine della sezione Misure di prevenzione del Tribunale di Reggio Calabria, su proposta della procura. 
Fin dagli anni ’80, coinvolto insieme al padre Matteo Giuseppe Oliveri, oggi defunto, e al fratello Antonio, da tempo stabilitosi in Abruzzo, in numerosi procedimenti penali per la commissione di reati associativi finalizzati alla truffa aggravata, frode in commercio, emissione ed utilizzazione di fatture per operazioni inesistenti strumento prediletto per ottenere indebitamente i contributi Aima (ora Agea), erogati nel settore agricolo, per la produzione, lavorazione e commercializzazione dell’olio d’oliva, Olivieri - grazie a provvidenziali assoluzioni o prescrizioni del reato - per lungo tempo è riuscito a dribblare misure di natura patrimoniale.
Solo nel 2010, per ordine del gip di Palmi su richiesta della Procura, è stato arrestato insieme al padre e al fratello per associazione a delinquere, truffa aggravata ed altri reati tutti relativi all’indebita percezione di contributi erogati ai sensi della legge 488. Uno strumento concepito per stimolare lo sviluppo nel Mezzogiorno ed in altre aree depresse del Paese, grazie alla concessione di contributi, in parte a fondo perduto, ma che agli Oliveri di fatto servivano solo per aumentare il capitale sociale di altre imprese a loro riconducibili, tali da renderle in grado di percepire nuovi contributi. Quei fondi della 488, nelle intenzioni del legislatore necessari a rilanciare lo sviluppo del Sud, per il gruppo Oliveri erano dunque solo un ingranaggio di un meccanismo finanziario destinato a accumulare rendite. Tutte evidenze in base alle quali, all’epoca, il Tribunale di Palmi aveva disposto il giudizio per i tre e il sequestro penale di beni per 18 milioni di euro riconducibili al gruppo, corrispondenti ai contributi illecitamente percepiti.

fonte:alessia candito per corrieredellacalabria.it

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