
Mi convinco sempre più che la Calabria, la nostra cara e tanto amata terra che nei secoli ha sfornato uomini e menti che hanno reso grande il Bel Paese, deve necessariamente morire. Di morte lenta, ma deve morire. E anche se ci sarà qualcuno che si straccerà le vesti e dirà no a un omicidio così strano, nessuno potrà impedire a chi non vuole bene alla nostra Regione e la odia fino alla morte più atroce, di lasciarla, nel caso contrario, agonizzare per sempre. In eterno.
Mi spiego meglio. Tra ospedali che chiudono; strade che cadono e nessuno risistema; stazioni che muoiono e si portano via sogni e illusioni; disoccupati che se messi in fila abbraccerebbero pure la luna; soglia della povertà che interessa una famiglia su due; Comuni che vengono contagiati dal virus del commissariamento alla velocità della luce; alluvioni che ci riempiono di fango e di lutti un anno si e l’altro pure; interi paesi abbandonati al loro destino; rifiuti tossici disseminati ovunque e ovunque ignorati; politici che fanno a gara a chi la spara più grossa, e grosso e irreversibile è il danno del loro male agire; la stampa, la quale si è legata al potere politico alla mercè delle prostitute, fa finta di niente, e sulle colonne dei suoi pseudo e subdoli giornali, guidati da direttori senza arte né parte, ospita e sottolinea in grassetto soltanto il fenomeno della Malapianta. Si avete capito bene, i giornali nazionali, lasciamo perdere quelli a tiratura regionale, dei quali non parlo perché mi fanno pena, raccontano la ndrangheta e tutti i suoi tentacoli. Tutto il resto è ignorato e se conta loro non lo vedono, perché le loro penne hanno perso quella sensibilità umana che un tempo li contraddistingueva. Loro, insomma, se ne fregano, perché è stato stabilito che della nostra terra deve interessare solo la ndrangheta, e in quanto tutto è ndrangheta marchiare uomini e cose fino alla fine dei tempi.
Mi spiego meglio. L’altro giorno, un giornale nazionale, per la precisione La Stampa di Torino, ha dedicato l’inserto del sabato, il n. 33, curato in collaborazione con «Origami», alla ndrangheta. Titolo del foglio piegato: “Ndrangheta, scarpe bianche e cuore nero”. In bella vista la firma di alcune icone del fenomeno ndranghetistico, come Nicaso, Saviano, Stajano, Varese, La Licata ecc. Dispiace soltanto che al numero speciale, hanno dato il loro contributo due degli autori calabresi più letti e apprezzati nel panorama della letteratura nostrana: Mimmo Gangemi e Gioacchino Criaco. Nulla da eccepire su quanto hanno scritto e come hanno trattato un fenomeno che è vero che sta stritolando la nostra terra; come è anche vero che non è il solo responsabile dello sfascio verticale della nostra regione. Personalmente critico, con tutto il rispetto e la stima che nutro per i due autori calabresi, il fatto che non dovevano mai e poi mai dare il loro contributo di idee a un’operazione così sporca, il cui unico scopo è quello di far vedere sempre più e in ogni angolo del pianeta, il volto brutto e sporco della martoriata terra di Calabria.
Ed è ancora più strano che la particolare operazione editoriale, si è permessa il lusso di inserire nella prima pagina, una delle frasi più belle e abusate dello scrittore Corrado Alvaro: “La disperazione più grave che possa impadronirsi di una società è il dubbio che vivere rettamente sia inutile”. Anche se chi ha curato quella specie di prima pagina ha avuto l’ardire di sintetizzare e quasi cambiare la riflessione alvariana, trasformandola in “la disperazione peggiore di una società è il dubbio che vivere onestamente sia inutile”. Perché lo hanno fatto devo ancora capirlo, come devo ancora capire perché il quotidiano al quale lo scrittore di San Luca ha dedicato alcuni degli anni suoi più belli e interessanti, si è dimenticato, ndrangheta a parte, che in questo mese, e precisamente l’11 giugno ricorreva il sessagesimo della morte dello scrittore calabrese. Non avrebbe meritato un po’ di spazio? Ai lettori l’ardua sentenza. Alla Malapianta e alla pornografia gli spazi di tutti i quotidiani, perché, e questo l’ho capito, altri argomenti non li sanno trattare, soprattutto quando si parla di Calabria e calabresi, un popolo di sognatori ostinati, duro a morire.
Per quanto mi riguarda, non discuto e non deploro la necessità impellente di lottare tutti insieme per debellare il cancro della Malapianta. Ce l’ho con tutti quelli che ai fatti preferiscono le parole, per un loro tornaconto personale e fanno a gara a chi organizza prima marce allegre e patinate, convegni pieni di aria capaci soltanto di costruire falsi idoli, false carriere ed effimeri successi. A parte il fatto che continuare a parlare solo e soltanto di Ndrangheta, ci ha fatto perdere di vista tutti gli altri problemi, inderogabili, che hanno portato sull’orlo del precipizio la nostra bella terra di Calabria. Ed è chiaro pure che in questo contesto – lungi da me qualsiasi forma di giustificazione – la gramigna purtroppo attecchisce meglio e subito, e rischia di estirparci pure l’anima, e costringere come osserva molto acutamente l’amico Gioacchino Criaco i “ragazzi di Calabria ad essere sempre uccelli da preda”, pur rimarcando con forza e anche con convinzione alla maniera di Mimmo Gangemi che è ora di dire “Basta con questa favola che in ognuno di noi c’è un piccolo ndranghetista”. Ci siamo stancati e incazzati pure.
Fonte: Antonio Strangio per inAspromonte.it
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