giovedì 30 giugno 2016

IL PALIO DI.....MESSINA - CORSE CLANDESTINE (? ) DI CAVALLI PER LE VIE DELLA CITTÁ - 24 AFFILIATI AL CLAN GIOSTRA ARRESTATE




E cos´é il Palio se non una Giostra ?  Sta tutto in questo assioma l´operazione della polizia di Messina, Catania, Palermo e altre cittá siciliane, che stamani ha portato in carcere 24 persone tutte appartenenti al clan Giostra di Messina. Oltre all´accusa di organizzare corse clandestine il gruppo é anche accusato di estorsione, associazione a delinquere,traffico di stupefacenti. 

"Il settore delle scommesse andava ben oltre le corse tra cavalli. E puntava anche sull'online. Alcuni degli arrestati di oggi - Francesco Forestiere, Carmelo Salvo, Francesco Gigliarano, Agatino Epaminonda, Carmelo Raspante e Santi De Leo- si sono serviti di un network di imprese apparentemente legali, ma sprovviste dei requisiti prescritti, per operare nel mercato dei giochi on line.Raccoglievano le puntate e provvedevano al pagamento in contanti delle vincite ai clienti, utilizzando server dislocati fuori dei confini nazionali. «L'organizzazione criminale - sottolineano gli inquirenti - provvedeva a investire nuovamente parte degli introiti nell’acquisto di videopoker, totem e slot-machine, che venivano a loro volta modificati mediante l’installazione di software illegali». Durante l'operazione scattata stamani sono statesequestrate attrezzature in 22 centri scommesse sparsi per la città, per un valore complessivo di due milioni di euro, tra cui Biliardi SportInternet Point Mania e Betyitaly."

Ma la cosa non é nuova.Se andate su you tube potete vedere decine di filmati simili a questo che documentano come negli anni le corse clandestine sono diventate un vero e proprio business per ogni tipo di mafia.Quello che non si riesce a capire é come mai, visto che le corse si svolgono di giorno ed in pieno centro, le forze dell´ordine non riescano a debellare questo fenomeno.
Ultima curiositá: la gara di cui sopra si é svolta sul viale Giostra. Nome omen.
fonte:polizia di stato

mercoledì 29 giugno 2016

IMMIGRATO SIRIANO IN GERMANIA TROVA 150MILA EURO E LI RESTITUISCE - MA NOI,DICO NOI, COME CI SAREMMO COMPORTATI....?






Ha trovato nel piccolo appartamento che gli era stato assegnato 50 mila euro in contanti ed un libretto al portatore con un saldo positivo di 100 mila euro e li ha restituiti all'ufficio Immigrazione. È quanto è capitato a un 25enne rifugiato siriano in Germania.
Spostando un mobile nella casa di Minden - una città di circa 80 mila abitanti della Renania Settentrionale-Vestfalia - che gli era stata data per sistemarsi dopo essere arrivato dalla Siria, dove è rimasta la sua famiglia, l'uomo ha trovato un nascondiglio segreto sotto un armadietto. Lì c'era, appunto tutto il "tesoro": banconote nuovissime da 100 e 500 euro e un libretto di risparmio al portatore.
A quel punto, ha raccontato, non ci ha pensato due volte, ha preso tutto il gruzzolo e lo ha portato ad un incredulo impiegato dell'ufficio immigrazione del Comune, lo stesso che gli aveva assegnato la casa messa a disposizione da un'associazione caritativa: il quale ha subito chiamato la polizia che ora indaga sull'origine di tutto quel denaro in contanti di cui non si conosce ancora il proprietario.
Avviando le indagini, il capo della Polizia locale ha lodato il gesto del giovane siriano, diventato l'eroe del momento in città. "Quest'uomo - si legge in un comunicato ufficiale - è un esempio per tutti". E il rifugiato ha detto che intende restare in Germania, dove sta frequentando un corso di lingua e dove vuole far venire la propria famiglia.


martedì 28 giugno 2016

UN MORTO SUL LAVORO A CIRÓ MARINA - UN MORTO ED UN FERITO PER INCIDENTE STRADALE A SAN MARCO ARGENTANO



repertorio


CIRÓ
Un operaio edile, Antonio Leto Russo, di 43 anni, è morto questa mattina, a Cirò Marina, in un incidente sul lavoro. L’uomo, per cause in corso di accertamento, ha perso l’equilibrio ed è precipitato da un altezza di circa cinque metri. Sul posto sono intervenuti gli operatori sanitari del Suem 118 che hanno tentato invano di rianimare l’uomo. Sulle cause dell’ incidente hanno aperto un’inchiesta i carabinieri della compagnia di Cirò Marina e gli uomini dello Spisal, il servizio di prevenzione e sicurezza sui luoghi di lavoro dell’Azienda sanitaria provinciale di Crotone.


SAN MARCO ARGENTANO
Tragico incidente mortale nella notte a San Marco Argentano, in provincia di Cosenza. Intorno a mezzanotte, nella zona dello Scalo, uno scontro tra una moto e un tir è stato fatale a Davide Pietromica un giovane di 30 anni originario di San Donato di Ninea che viaggiava sulla moto insieme a una ragazza di 21 anni di Mottafollone, ricoverata d'urgenza all'ospedale dell'Annunziata di Cosenza dove sarebbe in gravi condizioni e in prognosi riservata.
Il tir stava facendo manovre di carico e scarico merci. L'autista è originario della provincia di Napoli. E' statno denunciato per omicidio stradale aggravato a piede libero alla Procura di Cosenza.
Sul posto sono intervenute le forze dell'ordine e i sanitari del 118. Non sono ancora chiare le cause dell'incidente e la sua dinamica.

fonte:il quotidiano del sud

ANCHE I CALABRESI SI STANNO SVEGLIANDO, LENTAMENTE,CON QUALCHE STIRACCHIO IN PIÚ, MA SI STANNO SVEGLIANDO

Dalila Nesci sul palco di LameziaDalila Nesci sul palco di Lamezia
Non ci sarà un'altra Cosenza e non ci sarà un'altra Crotone, per indicare le due città calabresi dove il Movimento 5 Stelle ha, con le sue scelte, giustificato in molti il sospetto che nella recente tornata amministrativa non era sua intenzione investire più di tanto sul fronte calabrese.
Nei giorni scorsi, all'interno del Movimento si è molto discusso di Calabria e dei calabresi, la decisione venuta fuori è di lanciare la sfida al "vecchio sistema" e caricarsi sulle spalle l'ansia di riscatto che si alza dalle varie contrade di una regione piegata su se stessa e malgovernata come mai accaduto prima.
La scelta del segretario regionale del Pd calabrese, Ernesto Magorno, di continuare su una ottusa linea di resistenza a difesa di un'unità fittizia e di una conservazione del potere clientelare, sbarrando la porta a ogni ipotesi di rinnovamento e a ogni approccio con la "meritocrazia", ha fatto il resto.
Tant'è che l'onorevole Dalila Nesci approfitta della presenza al suo fianco, a Lamezia Terme, di Luigi Di Maio per rendere pubblico l'intento dei 5 Stelle di mandare a casa prima possibile l'attuale governo regionale per proporre un patto ai calabresi che rompa retaggi e incrostazioni.
Usa un linguaggio schietto e diretto Nesci, già all'inizio del suo intervento pubblico. «Eccoci qui. Vi dico subito che vogliamo prendere anche la Calabria. Questo è un impegno». Ricorre all'ironia: «La nostra terra non sarà più governata da mercanti alla Mario Oliverio, conosciuto come «Pallapalla», che dice una cosa e ne fa un'altra; che sbandiera discontinuità e poi conserva la poltrona a De Gaetano; che firma protocolli di legalità e poi tace sugli appalti dei nuovi ospedali; che si proclama giusto e poi nomina commissari abusivi; che parla di fondi europei e poi ne perde milioni; che promette di recuperare la Fondazione Campanella e poi rifiuta di agire; che afferma di lottare per la sanità e poi non impugna nemmeno un atto dei commissari Scura e Urbani».
La parlamentare mette la Calabria in diretta conseguenza del terremoto politico avviato a Torino e Roma: «Pensate alla faccia di «Pallapalla», che si tinge di rosso vergogna se gli dici la verità. Pensate, invece, al volto luminoso di Virginia Raggi e Chiara Appendino, donne che hanno forza, determinazione, buon ascolto e voglia di cambiare. Il confronto non regge: noi siamo diversi da loro, che fanno affari, mentono e riciclano».
Spiega le ragioni per le quali il Movimento ha scelto di concentrarsi in questa nuova sfida: «La Calabria è la regione italiana più colpita, devastata, tradita. La 'ndrangheta di palazzo vive sulle nostre spalle e porta fame, bruttezza, emigrazione, deserto. Ogni giorno partono centinaia di bus; schiere di persone vanno via, a Roma, a Bologna, a Milano e all'estero. Sono studenti e lavoratori che non tornano. Così perdiamo intelligenze, risorse e servizi pubblici, la cui sopravvivenza dipende dai numeri, nell'attuale sistema di violenza capitalistica».
E ancora: «In Calabria non c'è lavoro, questo è il dramma principale. La politica impone dipendenza tramite misure clientelari, il controllo dei voti e la cappa che tutti conosciamo. Siamo rimasti indietro per colpa di una politica cieca, muta e sorda, oggi rappresentata dal raìs Oliverio, al potere da 40 anni e tra i primi responsabili dell'emigrazione di giovani e famiglie. Oliverio è identificato dal suo soprannome, «Pallapalla». È un politico bugiardo, teatrale e pericoloso. Agli inizi «Pallapalla» portava la barba lunga e professava un comunismo estremo. Guardatelo oggi, sdraiato davanti a Renzi e pronto a sponsorizzare il "Sì" alla riforma costituzionale dettata dai Draghi della finanza».
La raccolta delle firme per presentare in consiglio regionale una proposta di legge sanitaria concreta, tesa a gestire in modo utile il personale, a ridurre i direttori generali e a migliorare i servizi è solo l'avvio della «Campagna per liberare la Calabria». Un'iniziativa che «non pretende di risolvere tutto», ma vuole evidenziare che «mentre il consiglio regionale pensa al cranio del brigante Vilella o alla dieta mediterranea», dalla base sale una proposta tesa a «cambiare il sistema e la mentalità collettiva». Insomma, è l'occasione per fare un «salto di qualità insieme, intanto iniziando a non aver paura. Siamo un popolo, per cui dobbiamo imparare a conoscerci, a rispettarci e a volerci bene».
Nesci elenca gli impegni che il Movimento intende onorare e chiede a chiunque voglia concorrere nella «campagna» di onorare: «Essere del Movimento 5 Stelle significa amare la Calabria, vuol dire riconoscere l'impegno, andare sino in fondo, studiare, approfondire, credere che l'onestà vinca sui metodi mafiosi della politica, l'oscuramento di regime, le falsità e l'arrivismo. Significa fermare quell'emigrazione quotidiana che segna le famiglie, svuota i Comuni e lascia l'aridità della cultura mafiosa. Ricucire lo strappo tra giovani e terza età, creare cooperazione, armonia, alleanza leale. Difendere l'orgoglio di appartenere alla Calabria, la memoria, la storia, la cultura, la natura, l'ambiente, la coscienza. Vuol dire battersi per un interesse superiore, che tocca il futuro delle nostre generazioni, dei nostri figli, dei nostri sforzi. Significa lottare a ogni costo contro l'illegalità dilagante, contro la gestione mafiosa della pubblica amministrazione in Calabria, contro i ricatti dei poteri che hanno spremuto le risorse pubbliche e prodotto orrore, rovine, cimiteri. Insieme puntiamo a restituire salute e speranza nelle case, abituare i giovani a pretendere i diritti, abituarli a non sottomettersi, a non subire. Significa seppellire la droga dell'individualismo contemporaneo, del protagonismo, dell'incomunicabilità, dell'invidia e del pettegolezzo, delle insinuazioni divertite, dell'arroganza e della litigiosità».
C'è un misto di partecipazione e di entusiasmo nel sentire snocciolare questo "Manifesto per la Calabria". C'è anche commozione, soprattutto quando ancora Nesci fa appello a concorrere per «pensare in grande e sempre in termini collettivi, ridare dignità al popolo calabrese e trasmettere alla generazione di mezzo che l'opportunismo non paga, che si può vivere meglio nella libertà e che la Calabria è da ricostruire nel tempo, con fiducia e condivisione. Vivere con un senso profondo dei luoghi, degli altri, del bene comune. Sporcarsi le mani nella fatica più sana, ma senza vantarsi, celebrarsi, esaltarsi».
Sì, c'è anche commozione nell'accompagnare e nel seguire questa pubblica dichiarazione d'intenti che viene dal Movimento 5 Stelle. Già questo, commuoversi nel parlare di politica, restituisce parte del maltolto e sbatte la porta in faccia a chi, ormai logoro e povero di argomenti seri, osa ancora definire tutto questo come "antipolitica".

fonte:paolo pollichieni per il corrieredellacalabria.it

venerdì 24 giugno 2016

250 CHILI DI COCAINA SEQUESTRATI NEL PORTO DI GIOIA TAURO - ERANO NASCOSTI IN UN CONTAINER CHE TRASPORTAVA CARNE





GIOIA TAURO (RC) - I funzionari dell’Ufficio delle Dogane di Gioia Tauro insieme con gli uomini del Comando Provinciale della Guardia di Finanza di Reggio Calabria, sotto il coordinamento della Procura della Repubblica - Direzione Distrettuale Antimafia - hanno sequestrato 238 chili di cocaina purissima.

Lo stupefacente è stato rinvenuto all’interno di 7 borsoni nascosti in un container, che trasportava carne in fusti, proveniente da Santos (Brasile) e destinata a Odessa (Ucraina). Le attività sono state eseguite attraverso una serie di incroci documentali e successivi controlli di container sospetti, anche attraverso apparecchiature scanner a raggi X in dotazione alla Dogana e con l’ausiliodell’unità cinofila della Guardia di Finanza.
La cocaina sequestrata, contenuta in 220 panetti, avrebbe fruttato, se venduta al dettaglio, circa 50 milioni di euro.

fonte:il quotidianodelsud.it

mercoledì 22 giugno 2016

DALLA LOCRIDE ALLA PIANA GLI INCENDI NON RISPARMIANO NESSUNO - QUANDO TI VIENE VOGLIA DI GRIDARE " NON SONO CALABRESE "



ROSARNO Nove mezzi utilizzati per la raccolta dei rifiuti urbani sono stati incendiati la scorsa notte a Rosarno. I mezzi, che erano parcheggiati in un'area di stoccaggio nella periferia del centro del reggino, erano di proprietà della "Camassa Ambiente", la società pugliese che ha in appalto il servizio di raccolta dei rifiuti in vari centri della Piana di Gioia Tauro. Sull'episodio hanno avviato indagini i carabinieri che, al momento, riguardo il movente, non escludono alcuna ipotesi. I danni, secondo una prima stima, ammontano a circa 200mila euro.
Per entrare nell'area in cui erano parcheggiati i mezzi, gli attentatori hanno forzato la serratura della porta d'ingresso. I mezzi sono stati dapprima cosparsi con liquido infiammabile e poi incendiati. Le indagini mirano in primo luogo ad accertare se obiettivo dell'attentato sia la "Camassa Ambiente" o, indirettamente, il Comune di Rosarno dove, dalle ultime elezioni comunali, si è insediato un nuovo sindaco, Giuseppe Idà, eletto con una lista civica. La "Camassa Ambiente" gestisce il servizio di raccolta di rifiuti, oltre che a Rosarno, a San Ferdinando, Cinquefrondi e San Giorgio Morgeto.


fonte:ilcorrieredellacalabria.it

MA É SOLO LA ´NDRANGHETA IL MALE DELLA CALABRIA ? CHI VUOLE LA LENTA AGONIA DELLA NOSTRA REGIONE ? AH, SAPERLO.....!





Mi convinco sempre più che la Calabria, la nostra cara e tanto amata terra che nei secoli ha sfornato uomini e menti che hanno reso grande il Bel Paese, deve necessariamente morire. Di morte lenta, ma deve morire. E anche se ci sarà qualcuno che si straccerà le vesti e dirà no a un omicidio così strano, nessuno potrà impedire a chi non vuole bene alla nostra Regione e la odia fino alla morte più atroce, di lasciarla, nel caso contrario, agonizzare per sempre. In eterno.
Mi spiego meglio. Tra ospedali che chiudono; strade che cadono e nessuno risistema; stazioni che muoiono e si portano via sogni e illusioni; disoccupati che se messi in fila abbraccerebbero pure la luna; soglia della povertà che interessa una famiglia su due; Comuni che vengono contagiati dal virus del commissariamento alla velocità della luce; alluvioni che ci riempiono di fango e di lutti un anno si e l’altro pure; interi paesi abbandonati al loro destino; rifiuti tossici disseminati ovunque e ovunque ignorati; politici che fanno a gara a chi la spara più grossa, e grosso e irreversibile è il danno del loro male agire; la stampa, la quale si è legata al potere politico alla mercè delle prostitute, fa finta di niente, e sulle colonne dei suoi pseudo e subdoli giornali, guidati da direttori senza arte né parte, ospita e sottolinea in grassetto soltanto il fenomeno della Malapianta. Si avete capito bene, i giornali nazionali, lasciamo perdere quelli a tiratura regionale, dei quali non parlo perché mi fanno pena, raccontano la ndrangheta e tutti i suoi tentacoli. Tutto il resto è ignorato e se conta loro non lo vedono, perché le loro penne hanno perso quella sensibilità umana che un tempo li contraddistingueva. Loro, insomma, se ne fregano, perché è stato stabilito che della nostra terra deve interessare solo la ndrangheta, e in quanto tutto è ndrangheta marchiare uomini e cose fino alla fine dei tempi.
Mi spiego meglio. L’altro giorno, un giornale nazionale, per la precisione La Stampa di Torino, ha dedicato l’inserto del sabato, il n. 33, curato in collaborazione con «Origami», alla ndrangheta. Titolo del foglio piegato: “Ndrangheta, scarpe bianche e cuore nero”. In bella vista la firma di alcune icone del fenomeno ndranghetistico, come Nicaso, Saviano, Stajano, Varese, La Licata ecc. Dispiace soltanto che al numero speciale, hanno dato il loro contributo due degli autori calabresi più letti e apprezzati nel panorama della letteratura nostrana: Mimmo Gangemi e Gioacchino Criaco. Nulla da eccepire su quanto hanno scritto e come hanno trattato un fenomeno che è vero che sta stritolando la nostra terra; come è anche vero che non è il solo responsabile dello sfascio verticale della nostra regione. Personalmente critico, con tutto il rispetto e la stima che nutro per i due autori calabresi, il fatto che non dovevano mai e poi mai dare il loro contributo di idee a un’operazione così sporca, il cui unico scopo è quello di far vedere sempre più e in ogni angolo del pianeta, il volto brutto e sporco della martoriata terra di Calabria.
Ed è ancora più strano che la particolare operazione editoriale, si è permessa il lusso di inserire nella prima pagina, una delle frasi più belle e abusate dello scrittore Corrado Alvaro: “La disperazione più grave che possa impadronirsi di una società è il dubbio che vivere rettamente sia inutile”. Anche se chi ha curato quella specie di prima pagina ha avuto l’ardire di sintetizzare e quasi cambiare la riflessione alvariana, trasformandola in “la disperazione peggiore di una società è il dubbio che vivere onestamente sia inutile”. Perché lo hanno fatto devo ancora capirlo, come devo ancora capire perché il quotidiano al quale lo scrittore di San Luca ha dedicato alcuni degli anni suoi più belli e interessanti, si è dimenticato, ndrangheta a parte, che in questo mese, e precisamente l’11 giugno ricorreva il sessagesimo della morte dello scrittore calabrese. Non avrebbe meritato un po’ di spazio? Ai lettori l’ardua sentenza. Alla Malapianta e alla pornografia gli spazi di tutti i quotidiani, perché, e questo l’ho capito, altri argomenti non li sanno trattare, soprattutto quando si parla di Calabria e calabresi, un popolo di sognatori ostinati, duro a morire.
Per quanto mi riguarda, non discuto e non deploro la necessità impellente di lottare tutti insieme per debellare il cancro della Malapianta. Ce l’ho con tutti quelli che ai fatti preferiscono le parole, per un loro tornaconto personale e fanno a gara a chi organizza prima marce allegre e patinate, convegni pieni di aria capaci soltanto di costruire falsi idoli, false carriere ed effimeri successi. A parte il fatto che continuare a parlare solo e soltanto di Ndrangheta, ci ha fatto perdere di vista tutti gli altri problemi, inderogabili, che hanno portato sull’orlo del precipizio la nostra bella terra di Calabria. Ed è chiaro pure che in questo contesto – lungi da me qualsiasi forma di giustificazione – la gramigna purtroppo attecchisce meglio e subito, e rischia di estirparci pure l’anima, e costringere come osserva molto acutamente l’amico Gioacchino Criaco i “ragazzi di Calabria ad essere sempre uccelli da preda”, pur rimarcando con forza e anche con convinzione alla maniera di Mimmo Gangemi che è ora di dire “Basta con questa favola che in ognuno di noi c’è un piccolo ndranghetista”. Ci siamo stancati e incazzati pure.


Fonte: Antonio Strangio per inAspromonte.it

domenica 19 giugno 2016

LA MEMORIA DEL PASSATO PER VIVERE IL PRESENTE - VI RICORDATE DU " BARIARU " ? SENZA DI LUI IL VINO DIVENTAVA ACQUA

In questo breve racconto di Nino Greco ritroviamo un arte del passato,l´arte del "Bariaru ", il costruttore di barili. Ogni paese ne aveva uno ed ogni bariaro, a suo modo, era una sorta di personaggio piuttosto singolare. In un certo senso era anche un artista.
L´ambiente di lavoro del bariaro era, quasi sempre, la strada. I barili, infatti, a causa del loro volume dovevano essere costruiti fuori, di solito davanti al basso adibito a laboratorio  e situato sulla pubblica via.
Grazie ai ricordi di Nino Greco, il bariaro rivive una nuova stagione e ci rimanda al nostro passato e a quei mestieri che i nostri nonni e i nostri genitori facevano con impegno ed energia spesso per portare a casa solo un tozzo di pane.


( un grazie al blog Hagia Agathe´ del prof.Bruno Demasi)




Mi smarrii con le mie curiosità nella bottega del Bariaru tra cerchi di ferro di varia misura attaccati alle travi, doghe di barili, di rovaci e di botti sparsi in ogni angolo. Barilotti, assi di castagno e attrezzi seminati ovunque. Non pareva avesse il garbo giusto per tenere ordine, faticava molto anche a camminare con quel bastone sempre in mano.
 Il migliore dei dintorni diceva mio padre e forse lo era davvero. Zoppo e bravo, pensavo.
    Ecco perchè i vignoti si rivolgevano a lui.
-U timpagno ‘nci voli novu - aveva sentenziato quando venne a tirare la fezza dopo da smammatura del vino dalla botte di cinque ettolitri.
    Quel disco di legno assemblato con arte, il più largo e centrale dove c’era modellata la porteja se ne stava andando e prima del nuovo mosto bisognava aggiustarlo.
   Le doghe tenevano e non erano guastate; lo notammo quando, con mio padre la spingemmo e la portammo fino al basso della putigha di Mastru Turi; quella volta la stavamo perdendo nella pendina dopo la piazza, mio padre passò avanti per frenare la corsa e io lo aiutai con la forza che avevo.
    Mastru Turi guardò la porteja e ci jharbò dentro.
- 'A gutti voli puru bruschijata, prima di chiuderla la devo bruschjari.
    Fu corto di cerimonie, il suo odorato sentenziava sulla bontà delle doghe di castagno curvate dalle lingue di fuoco e sulle minacce nascoste tra le pieghe di quei legni.
    Seppi che per la sistemazione delle porteje ogni anno, come compenso gli si dava la fezza delle botti al momento della smammatura, poi il vino novello a ridosso del Natale era solo premura e garbo dei vignoti.
    La fezza l’insaccava nel fezzaro per farla scolare, quel sacco di zombara appeso fungeva da filtro e rimaneva lì gocciolante per giorni e giorni. Al pastaccio di risulta ci pensava il sole e quando secco le vendeva come tartaro. 

   Baratti semplici, non correvano monete, almeno per quei lavori. Sembrava non ve ne fosse bisogno e si aveva la sensazione che per tante cose non servisse denaro.
    U Bariaru preparava le botti a settembre e dei compensi ne beneficiava a Natale col vino e ad aprile dell’anno dopo con la raccolta della fezza; conosceva tutti e tutti si affidavano alla sua destrezza per la riuscita delle annate.
. . .
    La botte di cinque ettolitri fu approntata; Mastru Turi, quando andammo a riprenderla, ci disse di sciacquarla più volte con la vinazzata bollente e di aggiungere del mosto. Aveva badato a bruciare l’interno della botte per eliminare muffe dannose, poi aveva aggiustato il timpagno.
    Mio padre era rimasto soddisfatto del lavoro, nell’altra botte di tre ettolitri c’era solo da farla girare con la vinazzata due giorni prima di riempirla, il giorno della cunsinna.
    Otto ettolitri in tutto non sarebbero stati pochi ma neanche tanti. Di quella partita di vigna era il massimo che si potesse ottenere, diceva mio padre, era un’annata di quindici o sedici ettolitri di vino. La parte nostra, poiché eravamo a mitati col padrone, si riduceva a sette o otto ettolitri, di cui metà era già ‘mparolatu.
    Spettava che i padroni dei vigneti cacciassero il prezzo del vino e si regolava di conseguenza. Era vino di Sanzo e poteva anche chiedere anche di più: gliel’avrebbero pagato lo stesso.
- Megghiju deci liri ‘i menu- diceva, come a mantenere una sorta di discrezione.
    Lui non forzava la vigna con la pota per produrre di più, diceva che ogni vite va guardata per quello che può dare e potarla il giusto.
- Le spaje che lasci – mi diceva- devono essere rejute dal fusto della vite, perché troppi grappi fanno quantità, ma vino di poca sostanza.
    Era il suo convincimento.
   Sicché il vino della nostra partita di vigna era considerato di buona produzione col forzu giusto per la tenuta e senza il fantasma dello spuntu a citu.   
    L’antivigilia di Natale mia madre allestiva le bottiglie e io iniziavo il giro. Potatori, zappatori e femmine della vendemmia, tutti quelli che avevano lavorato nella vigna; poi ancora il medico, il Notaro e a compare Ciccio, suo amico.
Il Notaro era forestiero, si erano ritrovati dopo tanti anni e abbracciati come fratelli per aver vissuto, sul fronte greco, episodi di guerra; mio padre da servente al pezzo e conduttore di mulo e il Notaro da tenente comandante la compagnia.
    S’incontrarono davanti al tabacchino in piazza dopo circa vent’anni e da allora non si persero più di vista. Nei loro sguardi si leggeva un forte senso di fraterno affetto, me ne accorsi e chiesi più volte a mio padre sulla loro amicizia. Non dava verbo e sorvolava, solo una volta mi disse semplicemente: - E’ un galantomo.
    Di sicuro erano stati i patimenti e le paure ad accumunare i loro animi.
    Al Notaro portavo cinque litri di vino e mentre la signora svuotava la damigiana, serbavo le mie curiosità al presepe: ordinato, illuminato e cercavo sempre il volto del pastore ‘mmagatu da stija. Tornavo a casa con qualche soldo in tasca e una spasella di pittopie.
    Il Bariaru era l’unico a non darmi un soldo quando gli portavo il vino, ma era cortese. Mi chiamava col nome di mio padre, non ricordava mai il mio e mi chiedeva:
-Cenzareju, a scacciasti tu a recina a vindignu ? - sorrideva.
- Sì – rispondevo orgoglioso e non lo correggevo, tanto sapevo che l’anno dopo mi avrebbe chiamato ancora in quel modo, e a dire il vero non m’importava.
    Fu una di quelle volte che andai a portagli il vino che mi chiese:
- Sai cos’è questo? – e mi indicò un rovace su cui stava lavorando.
-Sì – risposi – un rovace.
- Bravu , ora mi sai diri chi voli diri testa i rovaci ? – 

    Riflettei un attimo e dissi – No –
    Divenne serio e chiarì: - Testa di rovaci significa che la tua testa è bona solo per portarci un rovaci sopra, hai presente le femmine che portano il rovace a vindignu?
- Sì – risposi cercando di capire dove mi stesse portando col suo ragionamento.
- Ecco, voli dire che a tua testa non è bona pe autru se non per portari nu rovaci, e invece la testa serve pe penzari, pe fari ragiunamenti, pe esseri omu ! –
    Si lasciò andare a una risata rumorosa e poi mi disse :
- Cenzareju , avoji ti mparasti n’atra cosa, e ricordatillu sempri: c’ a testa si pensa, si ragiuna, ‘i rovaci ndannu m’i portunu i scecchi. E nui simu omini ! 




Nino Greco é nato ad Oppido Mamertina ma risiede e lavora a Milano. Ha scritto varie novelle ed un romanzo, La Tana del Fajetto, Pellegrini Editore.

sabato 18 giugno 2016

LEGAMBIENTE E IL RAPPORTO ANNUALE SUL MARE: CAMPANIA E CALABRIA SEMPRE IN TESTA ALLA CLASSIFICA PER LE COSTE PIÚ INQUINATE





Pubblicato da Legambiente il rapporto 2016 Mare Monstrum sulla situazione delle coste italiane e il quadro che ne esce, come del resto anche in passato, non è certo tra i migliori per quanto riguarda la Calabria. Nella classifica regionale del mare illegale, infatti, la Calabria resta stazionaria al quarto posto con un totale di 1.838 infrazioni accertate pari al 10% del totale nazionale, le infrazioni hanno portato quasi ad una media da 1 arresto o denuncia per ogni infrazione visto che in totale ci sono state 1.830 persone tra denunce e arresti. I sequestri, invece, sono stati in tutto 607. Davanti alla Calabria ci sono solo il Lazio (in salità con 1.920 infrazioni, la Sicilia con 3.021, e la Campania con 3.110 
La situazione migliora, però, se le infrazioni vengono rapportate ai chilometri di costa. La Calabria, infatti, è la terza regione d'Italia per estensione costiera con i suoi 715,7 chilometri di costa. Data la notevole estensione il rapporto di infrazioni per chilometro è molto più basso di altre regioni posizionando la Punta dello Stivale al 9 posto complessivo e una media di 2,6 infrazioni a chilometri, un dato molto lontano dai 6,6 della Campania o dai 6 del Molise. Ma anche il Veneto si fa notare molto più della Calabria con le sue 5,1 infrazioni per chilometri di costa. Dimostrando così che l'illegalità non è esclusiva del Sud ma piuttosto un comportamento diffuso in tutta la nazione.
Se il dato si sposta sulla condizione della costa sotto il profilo della cementificazione allora la Calabria torna ad occupare le vette negative della classifica. In totale, infatti, in calabria sono state accertate 593 infrazioni pari al 13,2% del totale, seconda solo alla Campania che ne ha registrate 886 (19,8% del totale).Per quanto riguarda le persone denunciate o arrestate la Calabria fa registrare 560 casi cui si aggiungono 186 sequestri. Gran parte dei reati di cementificazione è legata alla realizzazione di case, stabilimenti turistici, hotel, villaggi vacanza e altre infrastrutture private sul demanio marittimo o in aree vincolate lungo la costa.

CAPO COLONNA Tra i cinque casi individuati al top dell'abusivismo edilizio costiero, Legambiente inserisce anche una località calabrese ossia l’area del parco archeologico di Capo Colonna, a Crotone, dove ci sono 35 costruzioni abusive. Legambiente chiarisce che si tratta di case sotto sequestro dalla metà degli anni novanta che sopravvivono indisturbate alle ruspe e la loro presenza, oltre a impedire l’estensione del parco a tutto il sito archeologico, testimonia l’inerzia della pubblica amministrazione che, nonostante la confisca definitiva, non si decide a buttarle giù.

LA RICOSTRUZIONE DI LEGAMBIENTE - «Già nel 2009 la Goletta verde di Legambiente ha consegnato al sindaco la Bandiera nera, il vessillo che ogni anno assegna ai “pirati del mare”, coloro che a vario titolo si rendono colpevoli o complici di gravi vicende di illegalità ai danni delle coste e del mare. Neanche questo è servito a riportare giustizia in quell’angolo di Calabria: uno dei peggiori sfregi al paesaggio, alla storia e alla cultura italiana è ancora lì. Una vicenda giudiziaria che inizia nel 1995, quando il pretore dispose il sequestro di centinaia di metri cubi in cemento armato sorti su una delle aree archeologiche più vaste d’Europa nel silenzio degli amministratori locali. Nel febbraio del 2004 la prima sentenza nei confronti di 35 proprietari: assoluzione per prescrizione del reato, ma confisca 12 degli immobili. Quelle case, dunque, sono e restano abusive. Il lungo iter giudiziario si è concluso, ma la vergogna di cemento, fatta di villette, condomini, scalinate a mare e cortili resta intatta. Il problema, secondo il Comune, starebbe nel fatto che le case sono abitate e l’intervento delle ruspe creerebbe problemi di ordine pubblico. Un alibi che suscita non poche perplessità. Soprattutto se si considera che ad aprile del 2012 lo stesso sindaco che teme i disordini nella zona archeologica, dopo 14 anni dalla confisca, ha fatto sgomberare coattivamente una palazzina - sempre a Capo Colonna - di proprietà di una famiglia della ‘ndrangheta. Un intervento riuscito impiegando uno squadrone composto da carabinieri, polizia, vigili urbani e vigili del fuoco. Dopo aver fatto uscire gli occupanti, ha addirittura provveduto alla rimozione di mobili e suppellettili con una ditta di traslochi e fatto staccare elettricità e acqua dalle aziende fornitrici. Non è certo mancata la resistenza delle famiglie, ma in poche ore tutto si è risolto come deciso. Un miracolo? Un colpo di fortuna? Ci piacerebbe che il primo cittadino tentasse la sorte anche con lo sgombero delle vergognose ville nel Parco archeologico».

L´INQUINAMENTO DEL MARE Anche nel settore dell'inquinamento la Calabria non migliora la propria situazione. Si mantiene, infatti, al secondo posto della classifica del mare più inquinato dietro soltanto, ancora una volta, alla Campania. Legambiente ha messo in luce 487 infrazioni pari al 10,7% del totale con 505 persone denunciate o arrestate e 141 sequestri.

fonte:il quotidianodelsud.it


giovedì 16 giugno 2016

ANCORA MALASANITÁ A REGGIO ? MUORE PER EMORRAGIA QUALCHE GIORNO DOPO AVER PARTORITO DUE GEMELLI



REGGIO CALABRIA Era al suo terzo parto cesareo Mirella Lombardo, 43 anni, deceduta mercoledì notte dopo essere stata ricoverata in terapia intensiva agli ospedali Riuniti di Reggio Calabria. La donna residente nella Piana di Gioia Tauro lo scorso 3 giugno si era ricoverata nel reparto di Ostetricia e Ginecologia, lo stesso messo sotto accusa a maggio scorso dalla procura reggina e dopo sei giorni aveva dato alla luce due gemelli.  La puerpera qualche giorno dopo il parto e dopo essere stata dimessa, ha iniziato ad accusare dolori addominali da qui,  il sospetto che qualcosa non fosse andata per il verso giusto durante l'intervento. Mirella Lombardo ha quindi deciso di ritornare ai Riuniti ma, dopo l'esito degli esami, ha preferito rientrare a casa. Qualche giorno dopo gli stessi sintomi sono ritornati tanto da costringere la donna a un nuovo ricovero ai Riuniti. I medici le avrebbero riscontrato una forte emorragia  che, comunque, hanno tentato di bloccare con un intervento chirurgico. Subito dopo la paziente è stata trasferita in terapia intensiva. Mercoledì sera le sue condizioni si sono aggravate e qualche ora dopo è deceduta.
45 ricoveri al giorno
 La magistratura ha avviato un'inchiesta, ed ha sequestrato la cartella clinica della signora. Il primario del reparto di Ginecologia e Ostetricia Francesco Battaglia ha chiesto l'esame autoptico, mentre il direttore generale dell'Asl di Reggio Calabria Frank Benedetto ha costituito una task force  interna per conoscere come sono andati i fatti. Dopo la recente inchiesta «Malasanitas»  della magistratura reggina, che ha interessato proprio il reparto di Ostetricia e Ginecologia dei Riuniti, dove si sono accertati casi di neonati morti e aborti clandestini, gli occhi continuano a essere puntati su questo reparto dove - ha riferito il direttore generale - si raggiungono i 45 ricoveri giornalieri.  Numeri impressionanti,  caratterizzati dal fatto che all'ospedale di Scilla e in quello di Melito sono stati chiusi i reparti di Ostetricia, la clinica privata di Villa Aurora è in dismissioni e quindi quasi tutte le partorienti della provincia reggina giungono ai Riuniti per mettere al mondo i propri figli.  
L'inchiesta "Malasanitas" era nata da una costola di un'altra indagine di mafia avviata nel 2010 ma, inspiegabilmente, le intercettazioni relative al filone medico sono stati lasciati chiusi nei cassetti per quattro anni.  Solo a novembre del 2014 il procuratore aggiunto Paci e i sostituti procuratori Roberto Di Palma e Anna Maria Frustaci, hanno potuto conoscere le trascrizioni che hanno portato all'incriminazione, tra gli altri, del primario facente funzione Alessandro Tripodi, nipote dell'avvocato Giorgio De Stefano, figura carismatica della 'ndrangheta reggina.       
fonte Carlo Macrí per il corriere.it

APPARIZIONE DEL 13 GIUGNO DELLA " MADONNA DI QUARANTANO " ALLA VEGGENTE TERESA SCOPELLITI






Anche il tredici di questo mese, come avviene ormai da quasi due anni, si é ripetuta la presunta apparizione alla veggente Teresa Scopelliti  della Madonna di Quarantano,che ha preso questo nome dal piccolo borgo quasi disabitato, situato nel comune di Oppido Mamertina. Puntuali anche le centinaia di persone che alle 15 del pomeriggio si sono raccolte in preghiera insieme a Teresa Scopelliti in attesa  del rituale messaggio che la Madonna lascerebbe alla signora reggina da qualche mese trapiantata a Roma per motivi di lavoro. Nel filmato girato da Mamertinawebtv i  momenti salienti del pomeriggio ed il messaggio integrale che la Madonna ha lasciato ai suoi fedeli.

QUANDO I MAFIOSI ESCONO DAL CARCERE PERCHÉ IL GIUDICE NON TROVA IL TEMPO PER SCRIVERE UNA SENTENZA

Il palzzo della Corte d'Appello di Reggio Calabria
Corte d´Appello di Reggio

 Undici mesi sono passati dalla sentenza d’Appello nel processo “Cosa mia” che ha stabilito 42 condanne nei confronti degli esponenti delle cosche della Piana di Gioia Tauro protagoniste di una sanguinosa guerra di mafia tra gli anni ’80 e ’90 per il controllo del territorio e, in particolare, dei lavori sulla Salerno-Reggio Calabria attraverso tangenti imposte alle imprese che rubricavano questa “tassa” sotto il nome di “tassa ambientale” o “costo di sicurezza”. Undici mesi dopo la condanna di secondo grado non sono state ancora depositate le motivazioni della sentenza e i detenuti stanno lasciando il carcere per decorrenza dei termini. 
I conti in tasca al sistema giustizia in Calabria li ha fatti Giuseppe Salvaggiulo in un articolo su La Stampa nel quale annota come siano stati sforati i termini della custodia cautelare, che sono di sei anni, da quando l’operazione “Cosa mia” ha mandato in galera gli esponenti delle famiglie della Piana. I boss furono arrestati a giugno 2010, la sentenza di primo grado è arrivata nel 2013 e quella d’Appello  - che manteneva sostanzialmente intatto l’impianto accusatorio – è stata pronunciata a luglio 2015. Le motivazioni della sentenza sarebbero dovute arrivare entro 90 giorni, ad ottobre 2015, ma il giudice Stefania Di Rienzo ha chiesto una proroga di altri tre mesi. Dopo 11 mesi niente da fare, delle motivazioni nemmeno l’ombra. Prima che si arrivi alla condanna definitiva in Cassazione, sono già trascorsi i sei anni della custodia cautelare. 
Tutto poteva filare liscio: “La corte d’appello avrebbe dovuto depositare le motivazioni entro 90 giorni (quindi entro fine ottobre 2015), poi gli avvocati avrebbero avuto 45 giorni per presentare il ricorso in Cassazione. Ai supremi giudici sarebbero rimasti sei mesi, fino alla scadenza del termine della carcerazione preventiva, per chiudere il processo con la sentenza definitiva”, scrive La Stampa. Tre imputati, con una doppia condanna per associazione mafiosa, sono usciti dal carcere e altri dieci prima di loro. Un’emorragia in un sistema ingolfato e dai tempi biblici.

LE REAZIONI A questa notizia non sono mancate reazioni da parte degli organi di governo e non solo. "Ho chiesto agli ispettori del ministero di acquisire le notizie in merito a questa vicenda e verificare la veridicità delle notizie riportate dalla stampa ed eventualmente assumere le iniziative conseguenti", ha affermato il ministro alla Giustizia Andrea Orlando, il quale, a dire il vero, era stato in visita in Calabria lo scorso ottobre per verificare lo stato del processo civile. E a chi gli chiedeva delle emergenze in capo al penale rispondeva: «Come ho già detto, la mafia si combatte con gli organici, si combatte col personale amministrativo nel penale ma si combatte anche facendo funzionare bene il civile. Siccome noi oggi abbiamo una mappatura del civile siamo partiti da qui, quando avremo quadro ampio, quantitativo e qualitativo del penale torneremo per una analoga ricognizione». Forse adesso ha una piccola idea del quadro che si prospetta. 


C’è chi punta il dito contro il giudice che non ha depositato le motivazioni, come i componenti M5S della commissione Antimafia che chiedono un’audizione della Di Renzo: “Non riusciamo a comprendere i motivi di questo inaccettabile ritardo da parte del giudice Stefania Di Rienzo che non depositando le motivazioni della sentenza, ha permesso la scarcerazione degli imputati del processo “Cosa mia”. Un'inchiesta nata nel 2010 grazie a procuratore Pignatone, che aveva svelato anche gli affari connessi alla costruzione della Salerno Reggio Calabria. Un processo che l'anno scorso vede in corte di appello confermate le condanne per 42 imputati. Il tutto aveva bisogno solo del passaggio in Cassazione per avere la condanna definitiva, ma le motivazioni dopo undici mesi non sono arrivate e così sono decorsi i termini. Come si può avere fiducia di questa Giustizia?".
E c’è chi parla di una sconfitta dello Stato. “E' un ritardo irricevibile perché - ha detto Claudio Fava, presidente dell'Antimafia, alla trasmissione 'Restate scomodi' di Radio uno - si vanifica il lavoro di lustri. Una vicenda che regala un assist straordinario alle mafie, non soltanto agli imputati che se colpevoli si trovano in una condizione di straordinaria benevolenza, ma in genere nei confronti delle mafie. Una vicenda che ci pone di fronte ad un'enorme fragilità della macchina dello Stato alla quale va affiancata la denuncia che veniva fatta da molti magistrati calabresi l'ultima volta che siamo stati a Reggio Calabria, cioè la totale inadeguatezza sul piano dell'organico, delle risorse umane di quegli uffici che sono uffici di frontiera, forse la frontiera più esposta d'Italia. 

fonte:ilcorrieredellacalabria.it

PAPA FRANCESCO INCONTRA I FIGLI DI MARIA CHINDAMO L´IMPRENDITRICE CALABRESE SCOMPARSA DA OLTRE UN MESE





ROMA – «So già tutto». Quando Vincenzino, Federica e Letizia hanno sentito quelle parole pronunciate con tanta gentilezza dalla quella figura dal volto gentile l'emozione è stata forte ed indimenticabile. Era una delle frasi di conforto che loro, i figli di Maria Chindamo, stanno avidamente cercando da quel giorno in cui la madre è scomparsa. E quella figura dall'abito bianco, dal sorriso e dai modi gentili li ha abbracciati idealmente e non solo manifestando il proprio calore spirituale.

Papa Francesco ha ancora una volta sorpreso tutti affermando di conoscere attentamente la drammatica vicenda che dal 6 maggio scorso ha sconvolto questa famiglia di Laureana di Borrello. I tre figli dell'imprenditrice 44enne , come anticipato nei giorni scorsi dal Quotidiano, hanno incontrato finalmente il Santo Padre a Città del Vaticano. Accompagnati dallo zio Vincenzo, dalla zia e dai cuginetti, dall'altro zio Domenico, Vincenzino, 20 anni, il più grande, Federica (15) e Letizia (9) hanno trascorso alcuni minuti in compagnia di Papa Francesco che ha ricevuto anche un disegno dalla più piccola della famiglia Chindamo nella quale si raffigurano gli affetti più cari accanto a lei e ai fratelli, poi in cielo il papà Ferdinando (morto suicida esattamente un anno prima della scomparsa della donna) e la mamma Maria a metà con un punto interrogativo.

«Un disegno da mettere i brividi – ha commentato lo zio Vincenzo – segno che ormai anche la piccolina inizia a porsi delle domande su dove sia finita la madre. È stata un'emozione indescrivibile non solo la chiamata del Papa ma il fatto che lui già fosse a conoscenza di questa dolorosa situazione. È stata una grande iniezione di fiducia e soprattutto di conforto sapere che lui, il Santo Padre, che ha così tanti impegni giornalieri sappia il nostro dramma e preghi per noi. Torniamo a casa con uno spirito diverso». I Chindamo sono arrivati a Roma nella giornata di ieri trovando l'affettuosa accoglienza di una famiglia di Laureana e questa mattina si sono recati in Vaticano nel corso della Messa in piazza san Pietro. Insieme a loro c'erano i due parroci del paese: don Cecé Feliciano e don Gaudioso Mercuri. Questa sera saranno in diretta, in studio, alla trasmissione “Chi l'ha visto” che lancerà un nuovo appello affinché qualcuno che può aver visto Maria Chindamo parli. Ormai non ci sono più speranze di ritrovarla in vita, di farla tornare dai suoi figli, ma almeno c'è quella di darle una degna sepoltura.

fonte:il Quotidiano del sud.it

mercoledì 15 giugno 2016

QUANDO I SINDACI SI TIRANO LA ZAPPA SUI PIEDI - QUELLO DI PALIZZI HA PERSO L´OCCASIONE DI STARE ZITTO( E RIMBOCCARSI LE MANICHE)


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In un articolo pubblicato lo scorso 11 giugno sulla nostra testata, intitolato “Palizzi. Con 38mila euro destinati al lungomare perché la spiaggia è ancora sporca?”, abbiamo reso note alcune segnalazioni pervenuteci da lettori (con materiale fotografico annesso) riguardo lo stato del lungomare di Palizzi. Abbiamo anche chiesto delucidazioni in merito al sindaco di Palizzi, Walter Scerbo, che prontamente sono arrivate il 12 giugno. Correliamo a questo nostro intervento entrambi i pezzi, li potrete leggere cliccando sui titoli in fondo alla pagina.
Oggi a Palizzi ci siamo tornati con la macchina fotografica, stimolati dalle osservazioni del sindaco Scerbo che, nella sua nota, scriveva: «Noi, che apprezziamo l’informazione come mezzo di civiltà e di democrazia, riteniamo che, al contrario, la disinformazione sia lo strumento più becero per stravolgere la realtà, mutandola in falsità, rendendola fiero pasto di chi vuole lasciare la Calabria nel ghetto degli ultimi, degli ignavi, degli indolenti e pur anche dei delinquenti. L’assunto, su cui muove le “accuse”, l’anonimo articolista è totalmente falso: non sono stati stanziati 38mila euro per il lungomare più corto d’Italia, ma sono stati stanziati per il lungomare e per le restanti spiagge di Palizzi, che si dipanano su una costa di ben 7, 3 km».
Faccio notare al Sindaco che ogni cosa pubblicata su questa testata attiene al direttore, di cui risponde in sede civile e penale, quindi non esistono “anonimi articolisti”, bensì fonti (o segnalazioni, come in questo caso) che il giornale non è tenuto a rendere note al pubblico.
Riguardo ai 7,3 km di spiaggia di cui parla il Sindaco, faccio sempre notare che su gran parte di questi non esiste la spiaggia, e alcuni punti sono addirittura inaccessibili. Allego le foto scattate nel territorio compreso tra Palizzi e Spropoli di Palizzi( proprio vicino al cimitero):
Palizzi - SpropoliProseguiva il Sindaco nella sua nota: «Non si capisce come, anche a fronte delle scarne e sgranate foto pubblicate a corredo dell’articolo, si possa definire “cumuli di spazzatura”, la legna che è stata raccolta, dopo una pulizia profonda, tirandone fuori anche quella coperta da oltre un metro di sabbia».
Alleghiamo la galleria di foto scattate a Palizzi centro, in uno dei pochi punti in cui questi 7,3 chilometri sono accessibili. Noterete un mezzo di cantiere che proprio in queste ore (quindi anche dopo la nostra segnalazione) sta lavorando sulla spiaggia. Siamo certi che lo stia facendo sotto la supervisione di esperti sulla nidificazione della Caretta caretta, specie di tartaruga protetta.
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Proseguiva il Sindaco nella sua nota: «Dall’articolo in questione, ciò che si evince con chiarezza, è che c’è gente che utilizza i giornali come strumenti ad uso personale, come pedine da muovere contro qualcuno. Ma è altrettanto vero e necessario che, come cittadini, pretendiamo il controllo sulla veridicità della notizia, che evidentemente in questa occasione non è stato fatto». Per confermare ulteriormente al Sindaco Scerbo la veridicità della notizia, alleghiamo la seconda galleria fotografica, scattata a nord di Palizzi, in un altro tratto di spiaggia accessibile nei pressi di una piccola insenatura sita tra la stazione ferroviaria e la caserma dei carabinieri:
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Si nota, tra i cumuli di rifiuti, che non si tratta solo di legnami, ma di materiali di ogni genere. Restiamo in attesa di ulteriori chiarimenti, nella speranza che le foto siano state scattate stavolta a risoluzione adeguata (come richiesto).
Per doverosa precisazione.
Ad onor del vero.
Per correttezza e completezza dell’informazione dovuta ai concittadini ed ai lettori.

Antonella Italiano per Inaspromonte.it  ( tutte le foto sul sito)

CORRADO ALVARO CHI ? LA REGIONE CALABRIA DIMENTICA DI COMMEMORARE IL PIÚ GRANDE SCRITTORE CALABRESE DEL 900





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La Regione, come è giusto che sia, fa le cose in grande per ricordare Corrado Alvaro a sessant’anni dalla sua morte. Il più grande intellettuale calabrese del novecento ci lasciava appunto l’11 giugno del 56 a Roma.
Dire calabrese sarebbe riduttivo, e anche limitarlo a una statura gigantesca nazionale gli farebbe un torto. Come stringerlo nel ruolo di scrittore non renderebbe giustizia al suo genio. Giornalista, sceneggiatore, soggettista, antropologo, e premi che vanno dallo Strega ai David di Donatello. Si, Alvaro è stato immenso, un vero orgoglio calabro da contrapporre ai nefasti modelli che della Calabria si riportano sui media odierni. L’artista giusto per dare l’immagine più genuina della Regione, ed è per questo che il sindaco di San Luca si è mosso in sinergia con l’assessore regionale alla cultura. E ditemi se non sia fare le cose in grande, riuscire a portare in Italia, in Calabria, a San Luca, uno dei più grandi gruppi rock del mondo. Altro che manifestazioni ingessate, ricorrenze ammuffite; il sommo scrittore verrà ricordato a suon di rock, con le note dolcemente tristi dei Toto, che seguono il ritmo dei tamburi dell’Aspromonte, perché è delle percussioni aspromontane che è figlio il gruppo musicale americano da quaranta milioni di dischi venduti, fondato dai fratelli Porcaro di San Luca, figli a loro volta di un grande come Joe Porcaro, che per dirne due ha suonato in The Wall e con Sinatra.
Sarà una commemorazione grandiosa, come annunciano i titoli dei giornali calabresi che ricordano il nostro eroe; per l’occasione sarà riaperta la strada che da San Luca porta a Polsi, rovinata dall’alluvione del novembre passato…
E potrei andare avanti all’infinito con un’ironia facile e stupida, ma me ne manca la voglia. Faccio come quei comici falliti, costretti a spiegare le barzellette: non ci saranno manifestazioni sfolgoranti per Alvaro, piccoli e sobri ricordi individuali e di qualche associazione benemerita. E nessun assessore regionale alla cultura ci rifilerà nessun discorso memorabile, perché non lo abbiamo un assessore regionale alla cultura. E nessun sindaco griderà da un palco della genetica buona dei sanluchesi, a imitazione di Alvaro, perché non lo abbiamo un sindaco a San Luca. E, la cosa che più mi dispiace, i Toto non verranno a San Luca, perché i Porcaro sono quasi tutti morti, e l’ultimo sopravvissuto forse non sa neanche della esistenza di San Luca, e certo non gli frega del nostro orgoglio, perché al nostro orgoglio non è mai fregato nulla dei Porcaro.
Gioacchino Criaco per Inaspromonte.it

lunedì 13 giugno 2016

NON TUTTO É PERDUTO - MISS MONDO ITALIA 2016 É GIADA TROPEA BELLEZZA CALABRESE DI LAMETIA TERME




Giada Tropea è Miss Mondo Italia 2016. Con lei per la prima volta, scettro e corona arrivano in Calabria.


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La giovanissima di Lamezia Terme l'ha spuntata nella finale nazionale di ieri sera a Gallipoli, tra 50 concorrenti.

17 anni, studentessa del Liceo Scientifico "Galileo Galilei" del comune del catanzarese, Giada Tropea è stata incoronata al Teatro Italia da Kaspar Capparoni, per una kermesse condotta con verve e simpatia da Paolo Ruffini.

Sarà lei a rappresentare il nostro Paese alla finale internazionale di Miss World, il più antico e prestigioso concorso del pianeta.

Mora, occhi castani, per 175 centimetri di altezza, Giada Tropea era arrivata a Gallipoli a fine maggio, dopo le selezioni regionali, con la fascia di Miss Mondo Calabria.

«Dedico questa vittoria alla mia famiglia, che mi ha seguita in questo percorso e ha creduto in me e nelle mie possibilità».

Tipica bellezza mediterranea, solare e spontanea, Giada sogna la facoltà di Medicina, ama lo sport e gli animali. La sua vera passione resta la Juventus e, per il momento ha scelto di rimanere single. «L'unico uomo della mia vita-commenta – per il momento, resta papà».

Grandissima soddisfazione anche per Valeria Pellegrino e Mario Vitolo, agenti monomandatari del concorso per la Calabria e la Sicilia: «Siamo arrivati a Gallipoli con una rosa di 6 calabresi e 4 siciliane. Un risultato che già premiava l'impegno di un anno di lavoro nelle due regioni. Abbiamo sempre creduto in Giada e siamo convinti che questa vittoria possa rappresentare un passo importante per la Calabria. Una sfida, quella del podio a Miss Mondo Italia, che siamo certi aiuterà a riscattare l'immagine della nostra regione, in Italia e nel mondo. E contribuirà a valorizzare il territorio, le nostre bellezze paesaggistiche e la nostra cultura millenaria».

Ma questo non è l'unico riconoscimento per la coppia unita nella professione e nella vita.

Nella serata organizzata dal patron Antonio Marzano altre due importanti fasce sono andate alle calabresi Desirè De Luca, numero 1 in gara, originaria di Catanzaro, che è arrivata tra le prime 15 finaliste con il titolo di Miss Talent e ad Arianna Gramuglia, numero 25, di Bagnara Calabra, che si è aggiudicata il titolo di Miss Mondo Social.

Per la dirimpettaia Sicilia, invece, risultati di prestigio per Giorgia Brunello, numero 20, Miss Mondo Web, la fascia legata al quotidiano nazionale La Stampa. Per lei, ben 28.000 preferenze.

Altra fascia per Silvia Falco, numero 11, che ha conquistato il titolo di Miss Sport.

In Calabria c'è grande attesa per il ritorno di Giada che resterà alcuni giorni ancora a Gallipoli prima di rientrare a casa, dove la stanno aspettando parenti e amici.

Per lei si prospetta un anno intenso, in attesa di conoscere la sede della finale internazionale che la vedrà concorrere tra le più belle del pianeta.

Partiranno, invece, tra poche settimane le selezioni regionali per il concorso del 2017 e già fissate, per luglio e agosto le prime tappe in provincia di Reggio Calabria.

fonte:il dispaccio.it

venerdì 10 giugno 2016

TRUFFAVANO LE ASSICURAZIONI - IN MANETTE MEDICI E AVVOCATI DELLA PIANA DI GIOIA TAURO












fonte:il dispaccio.it

Un vero e proprio "sistema criminoso" dedito alle truffe ai danni delle compagnie assicurative quello smantellato stamani dalla Polizia di Stato, che ha operato tra le province di Cosenza e Reggio Calabria.
 
10 le ordinanze di applicazione di misura cautelare personale e reale. 25, invece, le perquisizioni locali effettuate nei confronti degli indagati del reato di associazione per delinquere finalizzata al compimento di reati di falso e contro il patrimonio e, in particolare, di truffe assicurative.
 
L'Operazione "Insurance" riassume gli esiti di un'articolata e complessa indagine svolta dagli investigatori del Commissariato di Cittanova e della Squadra Mobile di Reggio Calabria, coordinati dalla Procura della Repubblica presso il Tribunale di Palmi, che ha portato ad accertare l'esistenza di un'associazione a delinquere finalizzata alla perpetrazione di truffe ai danni di ignare compagnie assicurative, a seguito della quale sono state deferite all'Autorità Giudiziaria oltre 200 persone.
 
Tra gli indagati numerosi professionisti ed un ufficiale della Guardia di Finanza, sospeso dal servizio dal 2010.
L'attenta analisi delle conversazioni telefoniche intercettate, supportata dal sistema di geolocalizzazione delle utenze telefoniche, i riscontri ottenuti tramite mirati servizi di osservazione e pedinamento, la documentazione acquisita dalle varie compagnie assicurative, nonché i controlli effettuati presso le banche dati in uso alle forze dell'ordine, ha dato modo di smascherare 25 truffe assicurative commesse in meno di un anno (tra novembre 2011 e settembre 2012) per un ingiusto profitto pari a circa 300.000 euro.
 
L'associazione a delinquere, attiva fino ad oggi nelle province di Cosenza e Reggio Calabria operava con costanza, sempre seguendo schemi e tecniche ben precise.
 
"Avevano organizzato - ha spiegato il capo della squadra mobile di Reggio Calabria Francesco Rattà - persino la presenza delle forze dell'ordine nello scenario degli incidenti. Puntualmente chiamavano le forze dell'ordine per dirimere la dinamica degli incidenti, e non appena si presentavano le nostre pattuglie comunicavano di avere spostato gli automezzi perché nel frattempo avevano raggiunto un accordo di massima tra le parti scongiurando così l'accertamento. In questo modo, indicavano nelle loro denunce l'intervento anche delle forze per rafforzare la credibilità della condotta truffaldina".
 
I medici dei vari "pronto soccorso" sono, evidentemente, una pedina inconsapevole, ma, al contempo, fondamentale del meccanismo delittuoso. Sulla base delle false certificazioni ottenute, i soggetti coinvolti nel sinistro sono assistiti, nelle pratiche risarcitorie, da agenzie d'infortunistica stradale, come la CHINSERVICES di CHINDAMO Franco, o da legali, come la COSENTINO Maria Teresa, pienamente intranei al sodalizio criminoso, che avanzano formale richiesta di risarcimento nei confronti delle varie compagnie assicurative.
  
Vincenzo Insarà e Franco Chindamo erano le menti, gli ideatori del sistema. Domenica Zavaglia metteva a disposizione la propria abitazione e le utenze telefoniche a lei intestate affinché i due possano interloquire liberamente senza correre il rischio di essere intercettati.
 
Ma un ruolo fondamentale era quello assunto dai sanitari.
 
La dottoressa Rosa Muratore, medico specialista in ortopedia presso l'ospedale di Polistena, produceva falsi certificati medici, attestando lesioni inesistenti. E' da ritenersi il sanitario di maggiore importanza per le attività delittuose della consorteria.
Il dott. Basilio Iero, medico chirurgo, è l'altro sanitario di maggior riferimento per la consorteria, in rapporti strettissimi soprattutto con Chindamo.
 
In molti casi è stato riscontrato che i medici prescrivevano esami che venivano effettuati sempre negli stessi studi, come quello del dottor Lando, specialista in Chirurgia Generale Ecografia Clinica.
 
Maria Teresa Cosentino, infine, praticante legale abilitata al patrocinio, del foro di Palmi, provvedeva alle richieste di risarcimento e si occupava anche degli eventuali contenziosi legali.
 
L'associazione criminale, inoltre, risultava ancora attiva fino al momento dell'esecuzione delle odierne misure cautelari.