
Foto dal blog di Vito Teti
C’erano gli «americani», quelli emigrati negli Stati Uniti e a volte tornati, in paese, e mio nonno materno fu uno di loro. Tra Chicago e altre città fece tanti lavori, ebbe una vita avventurosa, fece una certa fortuna e torno in paese dove acquistò poderi, costrui delle case, mise a nuovo la cantina della Caria, dove io appresi da bambino tutti i giochi e le parole del mondo.
C’erano i «canadesi» e mio padre fu uno di loro. Partì nel 1951 e rientro nel 1958. Lo vidi allora la prima volta e intanto avevo declinato parole come attesa, lontananza, paese di Toronto, nostalgia, speranza.
C’erano i «germanesi» e in questa foto (postata da mio cognato Vito Antonio Malfarà che ringrazio) ci sono il nonno, il padre, altri parenti di mia moglie. Di questa emigrazione e di quella in altri paesi europei e del Nord Italia sappiamo meno delle altre (anche se esistono scrittori e studiosi che se ne sono occupati).
Da mio suocero ho ascoltato di traversate a piedi e clandestine, pericolose, delle Alpi, di vita agra e aspra nelle baracche, di fatica estenuante per ricostruire la Germania, ma anche di nuove possibilità che offriva quell’emigrazione. Molti sono tornati, altri sono rimasti ed io mi trovo a guardare le case vuote dei tanti che sono partiti per poco tempo e non sono mai più tornati.
Dobbiamo ad «americani», «canadesi», «argentini», «brasiliani», «venezualani», «australiani», «germanesi», «svizzeri», «francesi», «belgi», «torinesi», «milanesi» l’arrivo nei più isolati paesi del boom economico, delle cioccolate, delle sigarette, delle automobili, dei frigoriferi, del benessere, di una nuova identità. Dobbiamo a loro (e prima ancora alle nostre donne emigrate in Egitto per la costruzione del Canale di Suez: una storia rimossa e dimenticata di donne) se noi, figli di contadini, artigiani, braccianti, abbiamo avuto accesso alla scuola, al sapere, a una vita migliore.
Non dimentico mai questa storia, questa mia storia, che racconto con orgoglio e devozione. Non la dimentico soprattutto oggi che, dopo tante fughe e tanti abbandoni, i paesi sono diventati vuoti – e pensare che la fuga dolorosa e scelta era avvenuta per renderli pieni, vivi, abitabili – e mentre alle porte di chi è rimasto bussano nuove figure di migranti.
Vito Teti
Tutte le Calabrie e i calabresi del mondo / I Germanesi
Foto di emigrati calabresi (del mio paese) a Saarbrücken, Germania (1960) tratta dal profilo Facebook di Vito Antonio Malfarà.
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