venerdì 29 luglio 2016

C´E´ LA MMERDA AMMENZU O MARI, MAMMA MIA AJU E NOTARI. CU LU STRUNZU A GALLEGGIARI, MAMMA MIA PENZACI TU....



Il mare di Nicotera in una foto del 20 luglio pubblicata dal il Quotidiano del sud

E ora la colpa è di chi dice che il mare è inquinato. Zitti, mi raccomando, altrimenti i turisti scappano! Fatevi una nuotatina nella merda stile farfalla, altrimenti roviniamo la stagione turistica!
Della merda al Pantano si parla da anni, del depuratore che non funziona come dovrebbe, pure. Ma un cittadino può chiedere cosa si è fatto negli ultimi sette anni? Questo sindaco, questa amministrazione cosa hanno fatto? Quelle precedenti, cosa hanno fatto? Oppure dobbiamo diventare stronzi in mezzo agli stronzi, facendo il bagno a mare?
Vedete, a me dispiace per chi ha una attività commerciale. Dispiace che non ci siano turisti oramai dal 2007, ma se non vi dà fastidio, non mi schiero con gli imprenditori che si lamentano di chi si lamenta. Io mi schiero con i cittadini ed i commercianti di Nicotera che sono andati in Municipio a protestare e con quelli di Rosarno che hanno bloccato la ferrovia. Non mi posso schierare con chi ha due stanzette e si lamenta che scriviamo della fogna. Se vuole affittare le stanzette si preoccupi a dicembre, non ad estate finita!
Mi schiero con quelli che non aspettano luglio per vedere come stanno le cose. Io non parlo e scrivo in estate, lo faccio sempre. Andate a vedere in che mese ho postato il laghetto alla foce del torrente Fiumarella…andate. Poi a luglio, di là, è passata Goletta Verde. È colpa mia?
Allora dovevate iniziare a protestare, non a fine luglio.
Un paese a vocazione turistica, si siede al tavolo a gennaio per programmare quello che si deve fare in estate.
Turismo culturale, turismo culturale, turismo culturale. Si è fatto per cinque anni in questo paese, si è mossa la Rai, i maggiori studiosi di Pavese. Si è mosso l’universo culturale calabrese. Quel paese può ritornare, solo con l’impegno di tutti e con gente che è disposta ad investire sul turismo. Ed il turismo si promuove con quelle che sono le attrattive e le peculiarità dei luoghi. Ecco, per esempio, non con tre copie delle caravelle perché, salvo, notizie segrete, non mi pare che Cristofaro Colombo, avesse qui dei parenti! E poi, vuoi mettere una goletta, con una caravella?
Se i depuratori non funzionano, il mare si sporca; perciò, cari cittadini, se volete un mare pulito, cominciate a…depurare.
Un cinghiale fa il bagno nel mare di Copanello
Bruno Salvatore Lucisano per InAspromonte.it

martedì 26 luglio 2016

OR CHE I BUOI SON SCAPPATI...........IL SINDACO DI SIENA SU MONTE DEI PASCHI.RICORDANDO CHE A FARLA FUORI FU ANCHE UN CALABRESE.




Giuseppe Mussari,presidente di MPS quando fu acquisita Banca Antonveneta e causa principale di tutti i mali della banca senese.



Il Sindaco Valentini interviene su Banca Monte dei Paschi di Siena
“Il tempo delle dichiarazioni è finito, adesso servono i fatti per dare stabilità a Banca Mps”


"Il tempo delle dichiarazioni è finito, adesso servono i fatti per dare stabilità a Banca Mps. E' chiaro per tutti che ogni ritardo danneggia ulteriormente la credibilità del sistema bancario ed espone le banche quotate in Borsa ad azioni di speculazione. Le autorità monetarie hanno prima lanciato il sasso e poi non hanno contribuito ad individuare le soluzioni definitive che garantiscano la stabilità che a parole si dice voler perseguire, ma che invece si allontana fomentando la sfiducia dei risparmiatori, la paura dei mercati e l'aggressività della finanza d'assalto. I risparmiatori, voglio ribadirlo ancora una volta, non possono pagare per colpe che non hanno.
Non ha alcun senso arrivare a ridosso della scadenza del 29 luglio, per trovare soluzioni con analoga efficacia a quelle che pochi anni fa sono state utilizzate per mettere in salvaguardia le banche di altri Paesi, alcune delle quali sono tuttora esposte pesantemente sul fronte dei derivati.  

A che serve l'Europa se in una situazione eccezionale come questa pretende l'impossibile in un tempo così ristretto? La Banca Monte dei Paschi di Siena è una delle maggiori banche italiane e ha saputo ristrutturarsi pesantemente anche col concorso dei dipendenti, tornando in utile e restituendo allo Stato italiano -come nessuno ha mai fatto-  4 miliardi di euro gravati da interessi da usura. Banca MPS è ormai da anni libera da ogni condizionamento politico e mentre ha resistito ad ogni bufera grazie alla fiducia dei clienti, dei lavoratori e di chi ha sottoscritto gli aumenti di capitale, rischia davvero solo davanti alla miopia dei regolatori, che fra l'altro in passato non seppero controllare l'incauto acquisto di Banca Antonveneta.

Si processino pure, senza pietà alcuna, i malfattori che hanno governato Banca MPS, ma dal modo con cui l'Italia e l'Europa sapranno affrontare, una volta per tutte, questa questione dipende la credibilità del sistema bancario e quindi dell'economia italiana".

domenica 24 luglio 2016

" IL CONTRASTO ALLE MAFIE NON É UNA PRIORITÁ DELLO STATO ITALIANO " : PAROLA DI MAGISTRATO !

“LO STATO NON HA INTERESSE A COMBATTERE LE MAFIE…”

di Bruno Demasi
   Già otto mesi fa il sostituto procuratore di Reggio Calabria Giuseppe Lombardo, intervenendo profeticamente ad un convegno in provincia di Torino, sul tema «15 anni di 'ndrangheta in Piemonte e non solo. Le ramificazioni della mafia calabrese a livello globale», non usava mezzi termini nel criticare le inadempienze del legislatore e del Governo nella lotta alla criminalità organizzata.
   Era il momento cruciale dell’esposizione mediale da parte dell’attuale governo che ormai si era già impadronito di fatto delle prerogative parlamentari, e della sua presunta intenzione di combattere su tutti i fronti la criminalità organizzata, ma gli aborti legislativi che ne sono seguiti e le notizie di questi giorni sulle ramificazioni della ndrangheta in Piemonte , danno pienamente ragione a Lombardo.
   «Il contrasto alle mafie non è una priorità dello Stato italiano», egli affermava ed era una sorta di condanna senza appello da parte di un magistrato di prim’ordine che non aveva peli sulla lingua quando affermava: «uno Stato che ha questa priorità non interviene come è intervenuto il nostro legislatore o l’apparato governativo: limitando uomini, mezzi e risorse. Cercando, in qualche modo, di creare una serie di difficoltà operative, non ascoltando tutta una serie di indicazioni. Mantenendo un profilo basso in un’azione di contrasto che, invece, richiede grande autorevolezza». 

    Davanti a queste accuse, documentate e controllabili in ogni momento e a tutti i livelli, lo sgomento del cittadino – del cittadino calabrese in particolare – diventa enorme perché è consapevolezza ormai chiara , avvalorata dalla stessa magistratura, che «le grandi mafie si muovono in maniera coordinata tra loro e sono componenti indispensabili del sistema economico mondiale. Chi oggi si permette di criticare le indagini che riguardano il narcotraffico, di cui la 'ndrangheta diventa sostanzialmente il soggetto unico, non si rende conto dell’enorme liquidità che ne deriva, tale da essere in grado di condizionare il sistema bancario e finanziario mondiale. Se siamo tutti consapevoli che per uscire dalla crisi è necessario che l’economia riparta, siamo anche consapevoli che contrastare finanziariamente le mafie significa impedire che l’economia riparta. Per capire come stanno le cose occorre cercare le tracce del sistema criminale necessariamente integrato, di cui 'ndrangheta, cosa nostra, sacra corona unita e camorra fanno parte. Certo tra queste realtà criminali possono anche crearsi conflitti, che poi però regolarmente si risolvono nel momento in cui l’interesse comune diventa di rango più elevato». 

    Parole da imprimere con il fuoco sulle coscienze di tutti i Calabresi onesti e di tutti gli Italiani che hanno voglia di riscatto per creare una nuova stagione di proteste e di resistenza civile contro questa situazione che spesso, com’è accaduto con Falcone e poi con Borsellino, colpevolizza gli stessi magistrati onesti. Lombardo infatti ricordava e ci ricorda ancora che «quando un giorno vi verranno a dire che purtroppo in Italia ci sono una serie di magistrati che inseguono ricostruzioni fantasiose, state certi che di me stanno parlando. E pure di qualcun altro. Ma vi dico che quelle ricostruzioni fantasiose hanno già prodotto centinaia di sentenze di condanna. Quindi sono fantasioso io, il gip, i tre giudici del tribunale o la Corte d’assise, i giudici d’appello o della Corte di assise di appello e sono stati fantasiosi anche i giudici che notoriamente fantasiosi non sono, quelli della Corte di Cassazione. Solo che quel lavoro non è mai stato letto da nessuno».  
   Coraggio, gente, è ora di indossare almeno il vestito del coraggio, se non ce l’abbiamo sotto pelle, e di reagire civilmente!

sabato 23 luglio 2016

VE LA RICORDATE A " PUTIHA " DOVE FACEVATE LA SPESA ? E A " LIBRETTA " DOVE SI SEGNAVA QUELLO CHE SI ACQUISTAVA A CREDITO ? E IL RETRO DOVE SI GIOCAVA A VINO?





Resiste ancora in qualche paese di montagnaquel piccolo, indimenticabile, esercizio commerciale che ha accompagnato le famiglie italiane in tutto il processo di ricostruzione del nostro Paese, uscito distrutto fisicamente e moralmente dall’esperienza bellica. Erano, è vero, altri tempi!
I tempi d’’a putiha
Erano i tempi d’’a putiha, una parola che ci riporta ad un fase importante della nostra memoria collettiva, evocando profumi ed atmosfere di un mondo ormai completamente scomparso. Oggi le famiglie del duemila hanno a disposizione negozi specializzati, market, centri commerciali assaliti giornalmente da una marea di gente che in essi si riversa anche per un senso di svago e di divertimento. Un tempo, e non parliamo di un secolo fa, ma degli anni Cinquanta-Sessanta, le famiglie si accontentavano – si fa per dire – d’’a putiha, la bottega per antonomasia, la vecchia e mai dimenticata “generi alimentari”, una porta, anzi la porta verso il mondo. Si vendeva tutto rigorosamente sfuso, non confezionato, a peso: c’era il recipiente con le sarde salate, il contenitore della conserva di pomodoro, a sarza per il ragù (si chiedevano “due cucchiai di conserva”), un grande vaso con le aringhe. Era incredibile come in quei pochi metri quadri si riusciva ad accontentare una clientela che vi trovava di tutto: il sale, il riso, la pasta (‘na pisata, cinque chili), le caramelle in bella mostra in un vaso trasparente, la liquirizia, le castagne secche, la cannella, la noce moscata, lo spago, i quaderni, le matite, il sapone, il filo da cucire e quant’altro necessario alla vita di allora.
‘U putiharu
La bottega era più o meno la stessa in tutti i paesi: aveva un grande bancone con sopra la bilancia a due piatti, dietro il quale “regnava”, un po’ borioso, il grande esercente locale, ‘u putiharu. I conti li faceva a matita (la teneva sempre sull’orecchio destro, a portata di mano) sulla “carta gialla” e molto spesso, anzi quasi sempre, signava, annotava cioè, quello che il cliente acquistava su un “quadernetto” che le massaie chiamavano simpaticamente ‘a libretta. Era la “carta di credito” dei nostri giorni, una forma di pagamento, un “credito alimentare” in un’epoca in cui era diffuso capillarmente l’uso di vindìri ‘a cridènza.
La “carta di credito”
Su questa libretta con la copertina nera ‘u putiharu annotava l’importo della spesa a credito e i generi acquistati, dati che, diligentemente, riproduceva in copia su un suo librone. Il conto veniva saldato a fine mese o, comunque, quando era possibile, grazie al rapporto di fiducia che s’instaurava tra ‘u putiharu e il cliente, che (il posto fisso era di là da venire) si dimenava tra disoccupazione totale e qualche giornata lavorativa, che non gli garantivano di essere puntuale. E quando il credito diventava eccessivo non era certo raro che ‘u putiharu sbottasse e, talvolta, minacciasse di rifiutare ulteriore credito. Succedeva però raramente, perché scattava, quasi istintivamente, un senso di solidarietà tra loro, per cui il saldo veniva sempre posdatato. Sarebbe importante fare uno studio di queste “librette” (di quelle rimaste, perché tante sono state distrutte per disperazione, impagate): uscirebbe un’autentica statistica dei bisogni primari della società di quel tempo, di cui a libretta rappresentava la cartina di tornasole. Ci vollero gli “anni Settanta”, quando le rimesse degli emigranti dalla Francia, dalla Germania, dalla lontana Australia e dall’America e un certo risveglio economico migliorarono le modeste condizioni delle famiglie, perché le “librette” sparissero del tutto.
Il gioco delle carte
Allora, ogni “generi alimentari” che si rispettasse aveva un locale che adibiva al gioco delle carte, dove si degustava e si consumava quella bevanda tanto cara al dio Bacco: il vino. A quel tempo a ‘a putiha du vinu rappresentava l’unico svago nel paese: si giocava a carte fino a notte tardi, bruciando il tempo tra i fumi dell’alcool e l’odore acre di “trinciato” forte del tabacco. A questa regola non poteva venire meno mastru Vicenzu, che, per noi, ha incarnato il vero putiharu con quella sua bonaria simpatia che riusciva a “catturare” con facilità i clienti, facendo diventare il suo locale luogo di incontro e di ristoro, il posto dove la gente passava più tempo che con la famiglia. Era, ‘a putiha, tradizionalmente, un luogo di socializzazione prettamente maschile, in cui era assolutamente esclusa la presenza di donne, tranne l’eventuale moglie del putiharu, anche perché volavano spesso frasi “colorite” e bestemmie di ogni tipo e fantasia. Accanite partite a briscola si succedevano tra quelle quattro mura tra battute, scherzi e racconti di vita vissuta.
Patruni e ‘ssutta
Si giocava prevalentemente con le carte napoletane, ma, spesso, anche al tocco. Chi perdeva, pagava da bere ai vincitori: in palio “tre quarti e una gassosa!”. Ogni partita si concludeva con il gioco detto patruni e ‘ssutta in cui qualcuno, o più persone, potevano (a volte “dovevano”) rimanere all’urmu (all’olmo), a bocca asciutta, cioè non bere affatto per tutta la serata. L’espressione deriva dall’espressione francese «Attendez moi sous l’orme» («Aspettatemi sotto l’olmo», cioè inutilmente). Alcuni preferivano bere qualche bicchiere di troppo, perfino ubriacarsi, pur di vedere l’altro all’urmu per tutta la serata. Mastru Vicenzu che, spesso, quando mancava il numero dei giocatori si accompagnava al gioco, ne era il direttore d’orchestra, vantandosi sempre di essere quello che in paese vendeva il vino migliore. In parte era vero: «È una polvere!» era solito dire, ma spesso e volentieri ricorreva al “ritocco”, non appena “carpiva” che il vino stava cominciando a procurare i suoi effetti.
“Battezzare” il vino
In altre parole, lo “battezzava”, così come faceva donna Betta, la putihara conosciuta e descritta in una delle sue prime opere, La marchesina, dal grande scrittore calabrese Saverio Strati. Solitamente era lui, mastru Vicenzu, il protagonista di questo rito. Quando, però, era impegnato anche lui al gioco, con quella sua voce tonante lo imponeva alla moglie, gridando: «Agnese, sistemalo e portalo». Era il concordato segnale, il momento propizio per annacquare un po’ il vino, tanto gli avventori, un po’ “avvinacciati”, difficilmente avrebbero capito la differenza. Anzi, se rimproverato per questo, si arroccava pure il merito di rendere in quel modo meno pesante l’eventuale ubriacatura dei giocatori.
Olio di oliva e vino
Durante il gioco mastru Vicenzu usava, come ogni putiharu che si rispettasse, tutti gli accorgimenti possibili atti a stimolare la sete e, quindi, il desiderio di consumare più vino, portando spesso durante il gioco qualcosa da mangiare, quasi sempre olive, lupini, un po’ di salame, qualche biscotto inumidito nel succo di pomodoro crudo, insaporito con molto peperoncino. I più accaniti bevitori, però, ricorrevano da sè ad alcuni trucchetti per reggere meglio il vino: prima che il gioco cominciasse inghiottivano dell’olio d’oliva, oppure tenevano in tasca dei limoni da succhiare. Quanti aneddoti sul carattere e la personalità di questo personaggio del passato che ancora oggi molti ricordano con simpatia. Spesso chiedeva a qualcuno la soluzione di un debito, non dovuto, convincendolo con la sua parlantina persuasiva della sua veridicità o pretendeva il pagamento di bibite non consumate al gioco, mettendo nel conto bottiglie vuote che lui stesso aveva, celatamente, aggiunto.
La resa di mastru Vicenzu
Con gli anni Settanta anche mastru Vicenzu ha dovuto arrendersi di fronte alla galoppante modernità che per sua natura tende a modificare tradizioni e modi di vivere, ma non può cancellare il ricordo di un tempo in cui bastava poco per essere felici, gustando appieno anche le piccole cose della vita. Oggi non è così, tesi come siamo allo spreco e al superfluo, ingabbiati in un consumismo esasperato privo di valori educativi soprattutto per le nuove generazioni.

Bruno Palamara per inAspromonte.it

lunedì 11 luglio 2016

IL SINDACO DI RIACE NE HA COMBINATA UN´ALTRA DELLE SUE : TROVA L´ACQUA E LA DISTRIBUISCE GRATIS




Mimmo Lucano non è simpatico, non usa parole forbite, che forse nemmeno le conosce.
E’ rude fino alla scortesia e quando ha qualcosa da fare, sempre, nemmeno ti risponde; sibila parole che potrebbero anche voler dire “vattene a quel paese”. Per lui, per certi versi, si potrebbe dire ciò che si è detto di Mennea, che sovvertiva le regole della fisica, andando a una velocita che per la sua struttura, secondo scienza, non avrebbe potuto raggiungere.
Il Curdo sovverte le regole della politica, del galateo e persino dell’estetica: comunica, è simpatico, e magari risulta anche bello. E’ la risposta migliore ai tanti furbi e ai molti fessi che hanno urlato al mondo che le ideologie erano finite.
Uguale a se stesso, con le stesse idee di sempre, un residuato ideologico eppure un ideologo ultramoderno. Un uomo dall’altezza vertiginosa se rapportata alla millimetrica altura dei politici che gli stanno intorno. E la sua posizione nella classifica di Fortune può valere nulla o tanto. Se quello che fa viene nascosto, il Curdo non ha nessun potere. Se ciò che ha fatto, e sta facendo, arriva agli occhi e alle orecchie di tutti, il suo potere può essere dirompente in Calabria.
Una mina in un sistema di potere secolare. E mentre tutti, da destra a sinistra, corrono al centro, e le estreme si moderano; lui resta lì, dove è sempre stato, in un’anarchia che rifiuta le gerarchie del potere e in un comunismo che è servire il popolo. Alla faccia di ogni trasformismo irride tutti quelli che hanno rinnegato le idee, perché le sue le realizza nel posto limitato che è riuscito a strappare alla politica delle chiacchiere. Ed è inutile rincorrerlo, mettere un cappello sopra le cose che fa, lui va così di prescia che i cappelli li fa volare in aria, e con quell’aria da messicano che ha è pure capace di sforacchiarli a revolverate.
Il suo potere sta là, non nell’essere contro il sistema, ma nel proporre un sistema alternativo, che è quello che tutti hanno abbandonato: fare il bene comune e considerare tutti uguali. Ed eccolo qua che alla faccia di liberisti, privatisti, qualunquisti e ogni specie di isti, trivella la terra e invece del petrolio tira fuori l’acqua. Un’acqua che stava sotto Riace da quaranta milioni di anni, e la dà a tutti, a gratis pure. All’asciutto lascia un’intera classe politica e dirigente calabrese, che non è stata in grado di dare acqua al popolo ed è messa a nudo, nelle proprie responsabilità, dal Curdo che mostra una strada da percorrere, e dimostra che le idee e le bandiere, quando sono buone non vanno ammainate.  
fonte:Gioacchino Criaco per inAspromonte.it




SUICIDA UN CAPO ULTRÁ DELLA JUVENTUS - SULLO SFONDO L´OMBRA DELLA ´NDRANGHETA



Il ricordo di Bucci nella pagina facebook dei drughi bianconeri


TORINO  - Il suo motto, quello che lo aveva reso celebre fra gli ultrà della Juventus, era «la vita è dura per gli altri». Qualcosa, però, negli ultimi tempi gli si era spezzato dentro, fino a rendergliela insopportabile.
E così, l’8 luglio, Raffaello Bucci detto Ciccio, 40 anni, capo carismatico dei Drughi, ha raggiunto in auto un viadotto della Torino-Savona, vicino a Fossano. Ha accostato, è sceso dalla vettura e si è lanciato nel vuoto . Nessun biglietto, nessuna spiegazione. La polizia non ha dubbi: è stato un suicidio. Ma sta continuando gli accertamenti, perché solo il giorno prima Ciccio aveva dovuto testimoniare davanti a un pm della procura di Torino in un’inchiesta sulle intrusioni della 'ndrangheta nella curva dello Stadium. E perché un altro testimone, Dino, leader storico dei Drughi, a Palazzo di Giustizia non si è presentato: pare che abbia lasciato la città.
Da anni gli inquirenti torinesi stanno setacciando i movimenti di boss e picciotti intorno alla tifoseria. A volte, come accadde nel 2006, per guardare gratis una partita (Juventus-Arsenal). Ma anche per accaparrare pacchi di biglietti e mettere le mani sul fiorente business del bagarinaggio. Un filone laterale dell’ultima inchiesta della Dda piemontese sulla 'ndrangheta a Torino, sfociato lo scorso 1 luglio in diciotto arresti, parla proprio di questo: rapporti troppo stretti di qualche frequentatore delle curve con la famiglia Dominello, di Chivasso (Torino), considerata assai vicina al clan dei Pesce-Bellocco di Rosarno.
Un ex capo ultrà, Fabio Germani, fondatore dell’organizzazione no profit «Italia Bianconera», riceve un ordine di custodia cautelare. Sono parecchi i retroscena svelati dall’indagine. Come la nascita di un nuovo gruppo di ultras, i «Gobbi», nel 2013. Dalle conversazioni di uno degli indagati si ricava che a dare il via libera fu uno dei Dominello. «E se lo dice lui, lo dice Rosarno: quelli che comandano». Un altro Dominello si fa dare biglietti da rivendere in vista della sfida del 23 ottobre 2013 con il Real Madrid; l’anno dopo si offre di intervenire come mediatore per scongiurare uno sciopero del tifo.
Bucci era un dipendente di Telecontrol. Addetto alla sicurezza delle biglietterie. Nonché consulente esterno in veste di Supporter Liaison Officer, figura di contatto fra club e tifoserie. Incarichi di alta responsabilità. Per questo era stato convocato dai pm: non come indagato, ma come semplice testimone. Gli investigatori, adesso, non escludono che ci sia un legame fra l’audizione e il suo gesto autodistruttivo. Stanno cercando di capire, per esempio, se qualcuno lo ha avvicinato o addirittura minacciato. Stanno cercando di ricucire il filo dei suoi contatti.
Per adesso la certezza è che la perdita della mamma, mancata qualche settimana fa, lo aveva addolorato profondamente.

fonte:il quotidiano del sud.it

domenica 10 luglio 2016

TRA INCIDENTI STRADALI, OMICIDI, SPARATORIE É STATO UN FINE SETTIMANA NERO IN CALABRIA






VIBO VALENTIA
Due donne, entrambe quarantenni, sono morte nella giornata di ieri nei pressi di Pizzo, a causa di uno scontro frontale tra un´autovettore e un autobus di linea. L´incidente, le cui cause sono ancora in corso di accertamento( anche se é assai probabile trattarsi di un sorpasso azzardato) é avvenuto poco dopo le sette di sera in contrada Colamaio al confine tra le province di Catanzaro e Vibo Valentia.
Alla guida dell´auto c´era Teresa Consiglio, 44 anni, di Pizzo Calabro che é deceduta sul colpo,mentre durante la notte, a causa delle gravi ferite riportate, é morta Anna Iorfino, 41 anni, di Triparni, una frazione di Vibo Valentia. Una terza persona é rimasta gravemente ferita ed é stata trasportata con l´elicottero del 118 all´ospedale del capoluogo.



ACRI
Una notizia che ha dell´incredibile arriva da Acri, grosso centro in provincia di Cosenza. Un uomo di 78 anni, Angelo Brogno, ha ucciso a coltellate la propria badante perché non voleva fare sesso con lui. Quando la donna, T.N., 58 anni di origini bulgare si é opposta alle avances di Brogno, l´uomo l´ha assalita e tra i due é nata una violenta colluttazione che si é conclusa con la morte della donna ed il ferimento dell´anziano omicida. E´stato lo stesso Brogno, poi portato in ospedale ed operato per una ferita, ad avvertire i carabinieri di quello che era successo. Giá nel 2012 Angelo Brogno era stato denunciato dai carabinieri per tentata violenza sessuale nei confronti della badante di allora, una rumena di 40 anni.

VIBO VALENTIA

É finita a colpi di pistola la " notte rosa " di Vibo Valentia. Verso le 2 , quando ancora si ballava e si cantava in piazza Municipio, sono stati colpi di pistola, sette per la precisione, a creare momenti di panico ed un fuggi fuggi generale, A restare a terra due giovani: Mirko Francesco La Grotteria, di 23 anni e Domenico Camilló di 22, entrambi di Vibo. La Grotteria é stato colpito da un colpo alla gamba mentre il Camillo é stato raggiunto da  colpi, tra il  torace ed il braccio  ed é stato un miracolo se i proiettili non hanno leso organi vitali. Naturalmente nessuno sa niente e nessuno ha visto niente, compresi i feriti che con ogni probabilitá dichiareranno agli inquirenti di essersi trovati in piazza quasi per caso.

ROSSANO

L´ultima notizia di questo bollettino di guerra arriva da Rossano dove uno zio ha tentato di ammazzare il nipote a colpi d´ascia, soltanto perché il giovane aveva parcheggiato la sua auto in posto non gradito al parente e non voleva spostarla. Anche questo episodio é sintomatico di quanto in alcune contrade calabresi si é ancora molto lontani dal buonsenso e dalla civiltá. Possiamo urlare quanto vogliamo il nostro dissenso nei confronti di ´ndrangheta e ogni tipo di mafie,contro  politici e uomini del malaffare, ma se manca il senso civico ed un pó di cultura é come abbaiare alla luna. E non si va da nessuna parte.

sabato 9 luglio 2016

VISTO IN TV : I CALABRESI CHE SOGNANO LA VITA E I CALABRESI CHE SPEZZANO I SOGNI E LA VITA




Un po’ mi è spiaciuto vedere sullo sfondo l’Aspromonte a far da cornice a storie così dure, erano addirittura i miei luoghi quelli che scorrevano alle spalle di uomini in lotta: l’Ammendolea, Casalnuovo d’Africo. Sicuramente qualcuno assocerà la montagna al male, ed è ovvio che non sia così, sono gli uomini cattivi a rendere cattivi i luoghi e non viceversa. Sicuramente tanto lavoro fatto per dividere il buono dell’Aspromonte dal male di alcuni ne soffrirà. Ma non è questo il dispiacere più grande, il dolore più forte è proprio quello della nostra grande madre, e le sento umide e calde le sue lacrime mentre parole e storie orribili riempiono le sue orecchie.
Ha ascoltato la pena dei suoi figli, cagionata non dagli alieni, ma da altri che dovrebbero essere figli suoi. E non amo la retorica dell’antimafia, i colpi a vuoto di istituzioni che appartengono a uno Stato che per troppo tempo è stato latitante o ha, addirittura, militato nelle file avverse e non bastano l’onestà e l’impegno di poche e degne persone per avvicinarlo tutto d’un colpo ai calabresi. Ma quelli che si succedevano a sedersi sullo sgabello che dava sulle rovine del castello dell’Ammendolea sono la nostra gente. Ed è vero che spesso ci siamo trovati di fronte a finzioni; le false vittime sono dannose quanto i carnefici veri.
Ieri sera, nel programma in prima serata su Rai Uno, i protagonisti erano calabresi. Calabresi quelli che avevano dei sogni e delle vite, e calabresi quelli che hanno spezzato i sogni e le vite. E non ve lo faccio il giochino di dove stia l’infamia, né vi rifilo prosopopee di ndringhete e ndranghete. Ve lo dico proprio dove stia l’infamia maggiore: fra chi attacca e chi subisce il male peggiore sta in chi assiste. L’infame maggiore è sempre quello, la Calabria vile, quella che si gira dall’altra parte quando il giusto soccombe, quella che sta sempre col più forte, qualunque divisa indossi. Il male impera perché nessuno dei calabresi affianca il giusto quando subisce il colpo, e se il giusto reagisce diventa un cattivo; ma se non vuole, non può, non lo ritiene giusto. Se sceglie come opzione la denuncia, allora, per molti calabresi è un infame.
Per una volta, non siate ignavi, fatevi un’opinione e scegliete su chi addossare la colpa. Smettetela di poggiare la croce su chi vorrebbe solo vivere la propria vita, realizzare i propri sogni; far quello che cavolo gli pare, rispettando gli altri, senza dover dar conto a nessuno.

fonte:Gioacchino Criaco per InAspromonte