sabato 30 aprile 2016

MILANO COME REGGIO CALABRIA: MUORE AL SESTO MESE DI GRAVIDANZA.ERA INCINTA DI 2 GEMELLI



Milano, incinta di due gemelli: muore dopo visite in 3 ospedali. L'inchiesta per omicidio


Sarà l'autopsia a chiarire le cause del decesso di Claudia Bordoni, 36 anni, incinta di due gemelli, morta in seguito a una emorragia alla Mangiagalli, la clinica ginecologica che dipende dal Policlinico di Milano. Con la paziente, che era alla ventiquattresima settimana di gestazione, sono morti anche i due feti che portava in grembo: a nulla sono valsi gli sforzi degli ostetrici e dei ginecologi dell’ospedale, che hanno tentato il tutto per tutto con un cesareo d’urgenza quando la mamma era già andata in arresto cardiaco. Per tutti e tre, non c’è stato nulla da fare.


La Procura di Milano indaga per l'ipotesi di reato di omicidio colposo. L'inchiesta è coordinata dal pm Maura Ripamonti e dal procuratore aggiunto Nunzia Gatto, e l'autopsia verrà effettuata probabilmente a metà della prossima settimana. Prima, infatti, gli inquirenti dovranno acquisire tutte le cartelle cliniche dei due ospedali e anche di quello di Busto Arsizio (Varese), dove la donna è stata visitata, e probabilmente poi anche come atto dovuto a garanzia procederanno alle iscrizioni dei medici che si sono occupati del caso nel registro degli indagati. "Siamo ancora in una fase preliminare delle indagini", ha precisato il procuratore Pietro Forno. Nel frattempo, il ministro della Salute, Beatrice Lorenzin, ha inviato gli ispettori per far luce su quanto accaduto.  "La task force dei professionisti nominati da Agenas, carabinieri del Nas e dal rappresentante delle Regioni - si legge nella nota del ministero - dovrà accertare se a determinare il decesso di Claudia Bordoni abbiano contribuito difetti organizzativi della struttura sanitaria e se siano state rispettate tutte le procedure previste a garanzia della qualità e sicurezza delle cure".

La donna lunedì, tre giorni prima della morte avvenuta giovedì, era andata al pronto soccorso dell’ospedale San Raffaele, dove era stata seguita durante la gravidanza, frutto di una procreazione medicalmente assistita: dopo averla visitata, i medici e i chirurghi di via Olgettina l’avevano dimessa. La famiglia ha presentato un esposto in Procura, denunciando i tre ospedali che hanno seguito la donna nel corso della gestazione: oltre il San Raffaele e la Mangiagalli, anche l’ospedale di Busto Arsizio.

La paziente, originaria di Sondrio, viveva a Milano con il marito di 40 anni. Dopo vari tentativi andati a vuoto, era rimasta incinta sei mesi fa, grazie a una procedura di procreazione assistita. La gravidanza però si sarebbe rivelata particolarmente problematica: nel corso della gestazione la donna avrebbe avuto delle minacce d’aborto. Gli ultimi problemi risalirebbero a metà mese: la donna si era rivolta ai medici che la seguivano al San Raffaele. Dopo una settimana di ricovero, era stata dimessa il 20 aprile. Cinque giorni dopo, il nuovo accesso al pronto soccorso di via Olgettina: dopo era essere stata in osservazione per diverse ore ed essere stata controllata dai chirurghi e dagli ostetrici della struttura, era stata dimessa. Due giorni dopo, il nuovo ricovero, stavolta al pronto soccorso della Mangiagalli di via della Commenda, dove la donna si è presentata lamentando dolori addominali ed è stata ammessa in codice giallo (uno dei più gravi).

Nella clinica ginecologica del Policlinico, primo punto nascita d’Italia, è rimasta ricoverata per circa 30 ore: la situazione è precipitata nella tarda mattinata di giovedì, quando la signora ha iniziato a presentare segni evidenti di emorragia addominale e all’esofago. A niente sono valsi gli sforzi di medici e infermieri: il cuore della 36enne ha smesso di battere verso le 14. A quel punto i ginecologi hanno tentato di salvare almeno i due figli che la donna portava in grembo: di qui il cesareo d’urgenza. Che però non ha avuto successo: i feti sono stati estratti dalla pancia della mamma quando anche per loro, ormai, non c’era più nulla da fare.

Alla Mangiagalli è stata avviata un’indagine interna, per ricostruire tutto quello che è successo durante il ricovero della donna, dall’arrivo fino alla morte: secondo i medici del Policlinico il decesso sarebbe da attribuire all’emorragia addominale e all’esofago. Da capire se questa, a sua volta, sia o meno connessa alla gravidanza. "I nostri operatori hanno sin da subito dato la loro piena collaborazione alla magistratura per tutti i rilievi del caso — dicono dalla direzione del Policlinico — Siamo tutti vicini alla famiglia in questo momento di gravissima perdita, così come siamo accanto alla nostra squadra di esperti per dare loro tutto il nostro appoggio". Anche la Regione ha attivato sul caso la propria task force, diretta dal dottor Rinaldo Zanini, che effettuerà un audit su quantovvenuto. "I contatti con la struttura sono già stati avviati - si legge nella nota - e, secondo quanto risulta dalle prime informazioni raccolte, non sembra evidenziarsi alcun elemento collegabile a negligenze da parte della struttura nella gestione del caso trattato, nonostante l'esito infausto". "La clinica Mangiagalli di Milano - si sottolinea - è il più importante e qualificato punto nascita regionale".
fonte:repubblica.it

venerdì 29 aprile 2016

ANCORA UNA TRAGEDIA DELLA STRADA IN CALABRIA: MUOIONO DUE STUDENTESSE.ERANO ALL´ULTIMO ANNO DI LICEO

 Drammatico il bilancio dell'incidente avvenuto questa mattina attorno alle 8 lungo la statale 18 all'altezza di San Lucido. Due studentesse sono decedute sul colpo ed altre due versano in condizioni gravissime all'ospedale di Cosenza. Mentre altre due persone sono state trasportate all'ospedale di Cosenza e Paola. Le vittime Ida Oliva, 19 anni, e Filomena Santoro, di 18 anni, viaggiavano a bordo di una Lancia Y assieme alle altre due ragazze (E.P. e S. F.) coinvolte nell'incidente, quando, per cause ancora in corso di accertamento, la loro auto si è scontrata frontalmente con una Mercedes GL con a bordo altre due persone (A.S e A.L.) che proveniva in senso opposto. Anche queste ultime, entrambe di 50enni, ferite di cui una in modo grave.
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(Ida Oliva - Foto da Facebook)
L'impatto, pare a causa di un tentativo di sorpasso, è stato devastante. La Lancia Y a bordo della quale viaggiavano le quattro studentesse a seguito dello scontro si è ribaltata finendo sul ciglio della strada. Drammatica la scena che si è presentata ai soccorritori giunti immediatamente sul posto – si tratta del tratto di statale tirrenica inferiore nei pressi dello svincolo dello stadio comunale – che proprio a causa dell'incidente è stato interrotto per diverse ore al traffico. Per prestare soccorso è intervenuto anche l'elicottero del 118 che ha provveduto a trasportare i feriti più gravi all'ospedale di Cosenza. Mentre un altro ferito in maniera meno grave è stato trasferito all'ospedale di Paola con l'autoambulanza che è giunta sul posto.
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(Filomena Santoro - Foto da Facebook)
Per estrarre le persone dalle lamiere contorte delle due auto hanno dovuto lavorare a lungo i vigili del fuoco del comando di Paola, mentre per ricostruire l'esatta dinamica dell'incidente e regolare il traffico sull'importante arteria stradale sono intervenuti i carabinieri della compagnia paolana. 
Al lavoro anche una squadra dell'Anas che solo in tarda mattinata è riuscita a ripristinare la viabilità lungo la statale che nel corso delle operazioni di messa in sicurezza era stata deviata su una strada secondaria. 
Intanto a San Lucido – paese natale delle vittime e delle altre due ragazze ferite, di cui una in condizioni gravissime – la notizia ha gettato nello sconforto l'intera collettività. Le quattro ragazze, tutte compagne di scuola, frequentavano il liceo scientifico di Paola dove si stavano recando prima del drammatico incidente che ha reciso la vita a due giovani studentesse all'ultimo anno delle superiori.
fonte:corriere della calabria.it

martedì 26 aprile 2016

LA MEMORIA DEL PASSATO PER VIVERE IL PRESENTE - IL PROFUMO DEL PANE









Un ragazzo sta uscendo da un locale – per rispetto della nostra lingua non lo chiamo Fast food – con il suo terribile panino imbottito, tra le mani. Per un gesto inconsulto che appartiene solo alle nuove generazioni, che nello stesso istante vorrebbero fare più cose, come mangiare il panino, rispondere al telefonino o continuare a giocare con quei terribili giochini che hanno fatto impazzire il mondo, il panino, gli cade per terra.
Stizzito, il ragazzo invece di raccattarlo, lo allontana con un calcio degno di un grande calciatore.
Una volta non era così. Al ragazzo che per uno strano gioco dei movimenti, sfuggiva dalle mani il pane caldo condito con l’olio e lo zucchero, la nutella dei poveri, e finiva per terra, invece di allontanarlo con un calcio, lo raccattava e prima di riprenderlo e consumarlo lo baciava.
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Perché il pane era buono e perché il ragazzo sapeva che non sempre poteva permettersi quel delizioso lusso. A parte il fatto che quel pezzo di pane, dalla forma particolare, bello, tenero, caldo come il petto di una madre quando è intenta ad allattare il suo bambino, che ha il sapore della terra, quella dalla quale nascono sempre buoni frutti, era il risultato di una grande giornata di lavoro che iniziava molto presto la mattina e terminava molto tardi la sera.
Iniziava con la crescita del famoso lavatu ( che veniva fatta la sera prima), quindi l’impasto,  rigorosamente a mano nella tradizionale majglia, e poi la preparazione dei pani, per finire con la preparazione del forno e l’infornata. Un lavoro duro che però diventava anche una festa soprattutto per i bambini ai quali veniva dato in dono il famoso angiolegliu se si trattava di un ragazzo, la famosa cugliura, se invece si trattava di una ragazza.
Pane, amore e sacrifici. Oggi non è più così, ed è per questo che il ragazzo allontana il panino con un calcio ben assestato. Perché è un panino che non sa d’amore, cioè non sa di niente. E le cose che sanno di niente, cioè non hanno un anima, si buttano via e basta.
Mi viene in mente la bella frase di Alvaro: «Da noi quando cade un pezzo di pane per terra, si raccatta e si bacia». Oggi non è più così, perché non tutti hanno ancora capito che soltanto il pane fatto in casa profuma d’amore, ha la forza della fatica, la bellezza e il carattere delle mamme. In una parola, i colori della vita. 

Antonio Strangio InAspromonte.it

giovedì 21 aprile 2016

OSPEDALI RIUNITI DI REGGIO CALABRIA REPARTO GINECOLOGIA O MACELLERIA?


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Apriamo, l’utero non sembrava rotto. Senonché, comincia a perdere da sotto… cioè il collo (dell’utero, ndrsi è staccato… Il bambino è vivo, ma qua l’utero si è staccato. Si è staccato l’utero. Hai capito?”. “Come si è staccato il collo?”. “Che cazzo ne so. Ancora la paziente è con la pancia aperta e con le pezze. È divelto il collo, dalla plica. È una cosa pazzesca”.
Sono alcune delle intercettazioni finite nell’inchiesta della Guardia di Finanza che stamattina ha portato all’arresto di quattro medicidegli ospedali Riuniti di Reggio Calabria. Sono finiti agli domiciliari l’ex primario Pasquale Vadalà, il primario facente funzioni Alessandro Tripodi e i ginecologi Daniela ManunzioFilippo Saccà.
Il gip ha, inoltre, interdetto dall’esercizio della professione medica anche i ginecologi Salvatore Timpano, Francesca Stiriti,Antonella Musella, gli anestesisti Luigi Grasso e Annibale Maria Musitano,  il responsabile dell’ambulatorio di neonatologiaMaria Concetta Maio e l’ostetrica Pina Grazia Gangemi. Sono, invece, indagati i medici ginecologi Massimo Sorace, Roberto Rosario Pennisi, l’ostetrica Giovanna Tamiro e Antonia Stilo
Al centro dell’inchiesta dalle Fiamme Gialle, guidate dai colonnelliLuca Cioffi eDomenico Napolitano– ci sono il decesso (in due distinti casi) di due bimbi appena nati, leirreversibili lesioni di un altro bimbo dichiarato invalido al 100%, i traumi e le crisi epilettiche e miocloniche di una partoriente.
Nell’inchiesta, coordinata dal procuratore Federico Cafiero De Raho e dai pm Roberto Di Palma e Annamaria Frustaci, è finito anche il procurato aborto di una donna non consenziente nonché – scrivono gli investigatori – le lacerazioni strutturali ed endemiche di parti intime e connotative di altre pazienti”.
Stando alle risultanze investigative, infatti, il primario facente funzioni Alessandro Tripodi avrebbe fatto abortire addirittura la sorella senza il suo consenso o quello del cognato. Assieme ai colleghi Daniela Manunzio e Filippo Saccà, avrebbe iniettato farmaci funzionali all’espulsione prematura del feto determinando l’interruzione della gravidanza.Manunzio – tipo con unascusa che non scende”. “Se non c’è tuo cognato… in un momento che non c’è… ma la notte non sta con lei?”. “Ma pure se c’è. Pure se c’è, tanto non capisce niente. Senza che ti vede nessuno, ehm, vedi come puoi fare, gli metti 2/3 fiale di Sint, gliela fai scendere a goccia lenta”. “In maniera tale che ‘morisce’, così si sbrigherà ed abortirà”.
Il primario sospettava che il feto della sorella potesse essere affetto da una patologia cromosomica. Ma dopo avere indotto l’aborto forse si è accorto che quello era solo un sospetto e commenta con il collega Filippo Saccà: “Un’oretta fa ha abortito; l’ho raschiata… apparentemente non mi sembra che abbia nulla, comunque… omissis… va boh… l’attaccatura un po’ bassa delle orecchie… omissis”. “Visibilmente non c’entra niente, che puoi vedere a 16 settimane, 17 quanto era… niente si può vedere… si deve prendere un pochino di tessuto…”. I due parlano del feto estratto dal corpo della sorella di Tripodi il quale è d’accordo con il collega e predispone ulteriori accertamenti: “ “E va bo, domani lo facciamo, ci chiudiamo in una stanza io e te e lo facciamo…”.
Questi sono solo alcuni dei casi esaminati dalla Procura e dalla Guardia di Finanza che ipotizzano l’esistenza di un’associazione a delinquere finalizzata a commettere una serie di reati tra cui la manipolazione delle cartelle cliniche relative alle pazienti (che si sottoponevano ad interventi ginecologici) e ai neonati al fine di occultare le responsabilità dell’equipe medica che aveva preso parte ai singoli interventi.
“Due bimbi morti appena nati, un aborto procurato senza e contro la volonta della gestante, due bimbi con danni cerebrali permanenti e donne con danni persistenti nelle parti intime ed essenziali alla persona”. Il gip Antonino Laganà parla di “bollettino di guerra” nell’ordinanza di custodia cautelare da cui emerge il sistema adottato dai medici per “salvarsi il culo”.  Un sistema condiviso dall’intero apparato sanitario come emerge dalle intercettazioni. “Allora chiudete questa cartella in un cassetto. Chiudila in un armadio, intanto…”. Da quell’armadio la cartella clinica dei pazienti veniva presa e “falsificata ad arte” in modo da garantire ai medici “la reale e sicura via di fuga dall’impunità”.
fonte: il fatto quotidiano.it

lunedì 18 aprile 2016

DOPO I GRAVI INCIDENTI STRADALI COSTATI LA VITA A 5 GIOVANI LA PROCURA SEQUESTRA UN TRATTO DELLA SA-RC


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VIBO VALENTIA - Il pm Benedetta Callea ha disposto, interessando il personale della Polizia Stradale di Vibo Valentia e militari dell'aliquota Carabinieri della sezione di Polizia giudiziaria della Procura, il decreto di sequestro preventivo, adottato in via di urgenza e riguardante la galleria "Fremisi/San Rocco, sita sul tratto autostradale della Salerno-Reggio Calabria direzione sud, nonché il tratto autostradale in prossimità della stessa dal Km 368l-160 fino al suo imbocco, luoghi in cui si sono verificati i sinistri stradali, in cui hanno trovato la morte, rispettivamente, il 25 novembre scorso Domenico Napoli, 19 anni di Cinquefrondi (LEGGI), e la mattina dell'1 marzo scorso e Marzio Canerossi, Giuseppe Speranza, Fortunato Calderazzo e Francesco Francesco, tutti di Gioia Tauro e di età compresa tra i 22 e i 24 anni (LEGGI LA NOTIZIA E GUARDA LE FOTO).
L'adozione del provvedimento si è resa necessaria, tenuto conto di quanto preliminarmente evidenziato dai consulenti tecnici della Procura in ordine alla pericolosità di quel tratto autostradale per gravi difetti strutturali della sede stradale. L'attività d'indagine della Procura della Repubblica di Vibo Valentia prosegue al fine di operare la precisa ricostruzione della dinamica dei sinistri ed individuarne le responsabilità.
Ricordiamo che nella vicenda erano inizialmente indagate sette persone tra funzionari Anas e imprenditori, numero adesso salito a 13 (LEGGI NOMI). L'indagine aveva avuto un impulso decisivo a seguito della presentazione di un esposto da parte dei familiari delle vittime incaricati dai rispettivi legali di fiducia.

Fonte: il quotidiano del sud.it

LA MEMORIA DEL PASSATO PER VIVERE IL PRESENTE - LA FESTA DI SAN ROCCO NEGLI ANNI 60 - VIDEO




"Mia mamma al focolare" Domenico Mazzullo 1950

Con  "La Memoria del Passato per Vivere il Presente " diamo inizio ad una rubrica settimanale( speriamo di riuscire a tenere il ritmo) che si propone di segnalare e condividere, attraverso foto,video e testimonianze, momenti significativi del nostro passato, ricordi che, nel bene e nel male, ci hanno dato un´identitá e ci hanno contraddistinto e che sono, volenti o nolenti, le nostre radici piú profonde.

Abbiamo cominciato questo viaggio la settimana scorsa con la pubblicazione di un articolo, U Sapuni i casa, pubblicato dalla rivista InAspromonte a firma di Mimmo Caanzariti. Oggi vi propongo un video pubblicato dall´amico Massimo Demasi sul suo blog Oppido Viva e tratto dalla raccolta di uno zio, Nicola Demeo, scrittore,poeta e scultore. Il video dura solo 5 minuti ma é lo spaccato di un momento di festa degli anni 60 a Oppido Mamertina. La festa é quella di San Rocco che si distingueva dalle altre perché era l´unica a proporre i cosidetti " giochi popolari "( gara coi sacchi,padella con una moneta attaccata che bisognava staccare coi denti, gara di "bumbuli " e la mitica "gara da pasta " ) ma, soprattutto, il volo dei " palloni ", raffiguranti personaggi di carta che spinti dal calore sprigionato da batuffoli di cotone impregnato di alcool, si alzavano (non sempre a dire il vero) in cielo accompagnati dagli occhi e dalle bocche spalancate dei bambini che inseguivano con loro sogni e fantasie.

Ecco il filmato preceduto da una breve presentazione dello stesso Massimo Demasi.

"Tirare giu' un post su un filmato di un certo valore storico per il proprio paese è un impresa ardua cosi come scegliere il pezzo giusto per musicarlo, visto che la rete diventerà l'unica memoria depositaria. Dal semplice incontro in piazzetta di tre vecchi amici tutto ha inizio... E' ancora Festa...Ebbene sì! quando nelle tradizioni della propria terra che è storia e cultura popolare del posto si incontrano tre persone della stessa generazione  che per motivi diversi vivono esperienze differenti, inizia uno di quei discorsi che parte dalla scuola elementare, dai pomeriggi passati a giocare alle figurine,“batti - pa” , “roteju - muru “ spensieratamente sia per chi “veniva da campagna ca pe cu viviva sulu u paisi...”
Da quel ricordo nasce il rammarico di una generazione che poteva e forse doveva fare molto di piu' per la propria terra, perchè nata a cavallo di una società costruita  sulla povertà, riconoscenza e rispetto, ed una prostrata verso un modernismo frenetico e pieno di innovazioni spesso incomprensibili  e  logiche di poco conto dedite piu' all'apparire che al contenuto.

Ritrovarsi parlando delle tradizioni nelle feste del passato, come luogo indistinto di aggregazione gioia e felicità, per una società che dovrebbe coltivare di piu' tutte quelle cose che la rendono unita, era il  nostro augurio finale per OPPIDO.  Magari vederlo rifiorire anche se per un solo mese, nello spirito delle feste e della tradizione e nella speranza  che si popoli di persone non solo di passaggio o da affetti collegati, lo farebbe cambiare in un moderno borgo tra antichità e tradizione, Cuore per chi vuole scegliere se vivere la Montagna o il Mare..... "  

Il brano che accompagna il filmato é dei Novataranta....        










venerdì 15 aprile 2016

APPARIZIONE E MESSAGGIO DELLA MODONNA A QUARANTANO - 13 APRILE 2016 - VIDEO


Da quasi due anni ogni 13 del mese si ripete a Quarantano, frazione di Oppido Mamertina, la presunta apparizione della Madonna a Teresa Scopelliti. E come ogni mese centinaia di persone affollano il borgo, ormai quasi disabitato, per ritrovarsi in preghiera ed ascoltare il messaggio che puntalmente, per bocca della signora Scopelliti, la Madonna  manderebbe ai suoi figli.







giovedì 14 aprile 2016

U SAPUNI I CASA - RICORDI DI UN PASSATO CHE NON TORNERÁ ( FORSE)......

Patri figghiu e spiritu santu ‘u poti crisciri n’attru tantu!»
zia tita sapuni i casa
C’è un passato recente ed un passato remoto, con tracce ancora vive nella memoria dei nostri vecchi, nelle testimonianze scritte, nelle vecchie foto, e negli oggetti che ancora oggi sono di uso comune.
La vita nei centri rurali della Calabria era dura, dettata dalle esigenze della terra e, tuttavia, la gente sopportava e viveva con amore e tenacia, accettandone tutti gli aspetti e le sfumature.
Questa esposizione si propone di far luce sui saperi antichi, ormai persi del tutto nel vortice della modernità. È la continua ricerca delle nostre tradizioni, è il tentativo di far parlare chi non c’è più, chi non pensava di entrare nei libri di storia, è il riproporre piccole e grandi ritualità. È, principalmente, il vissuto della gente. Cercheremo, dunque, di spiegare i procedimenti, le difficoltà, i riti e i rimedi popolari, approfondendo alcune tecniche di pulizia usate prima della introduzione dei detersivi, dei saponi e dei detergenti sintetizzati chimicamente.
‘A VUCATA
Fino alla metà del secolo, le donne per lavare i panni dovevano recarsi alla fiumara. La fiumara era un’importante risorsa per la gente comune, specialmente per la donna calabrese in veste di lavandaia.
La donna faceva prima il prelavaggio a mano col sapuni i casa e, successivamente, faceva il bucato. Era quella, una attività in cui c’era bisogno di molta concentrazione. Si utilizzava una cesta di vimini dalla forma arrotondata, situata sopra a dei mattoni o a delle pietre pulite, dove la biancheria, già insaponata e leggermente sfregata e torciutacon le mani, veniva sistemata seguendo la forma concentrica della cofina. La parte finale, più larga, della superficie della cesta e i panni in essa contenuti venivano poi ricoperti da un telo di tessuto forte, detto cinnerali, ricavato da un vecchio lenzuolo o tessuto a mano in modo doppio, fatto di canapa o di cotone pesante; sopra il cinneraliveniva posto uno strato di cenere di 10 cm circa rigorosamente cernuta, cioè passata al setaccio, e a questo punto, sul tutto, veniva versata l’acqua bollente. L’ultimo panno serviva da filtro a quest’acqua che impregnava quelli sottostanti. Era qualcosa di magico e strano quel misto che faceva diventare bianca e profumata la biancheria tessuta al telaio.
Il liquido, che scolava dal fondo della cesta, era chiamato in dialetto liscìja, cioè la lisciva, e possedeva capacità detergenti elevate. Per questo era prezioso. Con cura veniva poi raccolto e messo da parte per lavare i capi in lana e i panni colorati e delicati, ma anche per fare altri lavaggi come stoviglie, pavimenti, oggetti vari. La massaia con il primo liquido che usciva, essendo più sporco, lavava gli stracci.
Col successivo, più chiaro, lavava i panni colorati e le maglie di lana, che poi sciacquava alla maniera della biancheria; puliva e disinfettava i letti, spesso invasi dai parassiti e, a dosaggi diluiti, puliva persino i capelli, per renderli lucenti e morbidi. 
‘U SAPUNI I CASA
Nelle famiglie non si buttava via niente, tutto era importante. L’olio, ad esempio, era prezioso sempre, anche quello fritto o andato a male, o depositato sul fondo dei recipienti in creta in cui era conservato. E proprio in uno di questi orci si raccoglievano questi residui: servivano per il sapone. Anche le giarre, dove restavano i residui dell’olio (murghi) erano una manna dal cielo per fare del buon sapone. Fare il sapone richiedeva una certa esperienza, perché non era facile lavorare e dosare bene lapotassa (soda caustica), ingrediente essenziale per far solidificare il sapone e l’acqua occorrente, le dosi di solito erano un chilogrammo di soda e cinque litri di olio (Fig.1).
Fare il sapone era un rito a cui partecipava non solo la famiglia, ma anche comari e donne del vicinato. Solo tanti tentativi, anni di esperienza e segreti rubati qua e là, facevano riuscire un buon sapone a una brava massaia. Il segreto era mescolare sempre e controllare il fuoco per regolare la cottura.
Quasi sempre ognuna delle comari del vicinato diceva la sua: a volte c’era troppopotassu (troppa soda) e quindi necessitava altra acqua, o era lentu cioè acquoso, e c’era bisogno di altra soda; in questo caso l’aiuto e i consigli delle comari e delle vicine era sempre ben accetto per la buona riuscita al primo colpo del risultato sperato.
Prima di iniziare il procedimento della lavorazione del sapone, era abitudine diffusa “benedire” con formule di rito, allo stesso modo del pane, anche il composto che si andava a trasformare in sapone. Si tracciava il segno della croce e si buttava un pugno di sale marino dentro il fusto o la cardara, pronunciando la seguente frase: «Patri figghiu e spiritu santu ‘u poti crisciri n’attru tantu!». Appena il contenuto cominciava a bollire (Fig.2) si iniziava a versare piano piano la potassa(Fig.3), precedentemente sciolta in acqua fredda rimescolando di continuo con il bastone.
Questa erogazione, sapientemente dosata, doveva avvenire ad intervalli regolari e stando bene attenti a quando il liquido cominciava a rapprendere, altrimenti la massa per eccesso di soda si sdillacciava, cioè non coagulava bene. Potevano essere aggiunte delle essenze, chiaramente naturali, come bergamotti, limoni o arance (Fig. 4). Mescolando continuamente avveniva la magia: la miscela iniziava a schiarire, passando dal marroncino al bianco panna, (quando il procedimento andava bene).
Un colore non proprio chiaro non era comunque sinonimo di cattiva riuscita: il suo dovere di sbiancare e fare schiuma il sapone lo avrebbe fatto lo stesso, anche se più scuro. Si capiva che il sapone era pronto quando, mettendo il mestolo o il manico di scopa in legno al centro del composto, questi restava dritto e non scivolava di lato. Significava che la consistenza era quella giusta e assicurava una buona saponificazione.
Se non era ancora solido, si lasciava riposare per altro tempo prima di tagliarlo, ma se capitava che non quagliava voleva dire che qualcosa era andato storto e quindi andava rifatto (stornatu).
Una volta tagliato a pezzi (Fig.5) non restava altro che farlo asciugare fino a che diventava secco e leggero. Asciugando, di solito si formava una patina di scaglie di soda luccicante, ma sul prodotto stagionato non faceva più male toccarla, perché non più caustica. Sul finire degli anni ‘50, grazie anche all’avvento delle lavatrici, l’usanza di fare il sapone in casa, come quella del bucato a mano, gradualmente è scomparsa. Questa consuetudine era dettata dal bisogno e dalla necessità del risparmio, e oggi un altro retaggio della classe contadina sta per morire. Sopravvive forse solo in poche famiglie, aggrappate caparbiamente agli usi e ai costumi della nostra tradizione aspromontana.
Fonte:Mimmo Catanzariti InAspromonte.it

mercoledì 13 aprile 2016

ANCORA "INGIUSTIZIA" ITALIANA : ASSOLTO DOPO 20 ANNI PER NON AVER COMMESSO IL FATTO !


Assolto dopo 22 anni, per lui risarcimento da 6,5 milioni
Giuseppe Gullotta

Ancora notizie di ingiustizia italiana.Mentre da Roma desta stupore e scandalo la notizia della semilibertá ( per fortuna in queste ore revocata per imperizia della condannata)dopo neanche 8 anni di carcere di Dorina Matei,la donna che uccise con un colpo di ombrello in un occhio Vanessa Russo e per questo condannata a 16 anni di reclusione,   da Grosseto arriva la sentenza per Roberto Barbieri che nel giugno del 2014 uccise a coltellate la moglie che aveva deciso di separarsi. Il giudice per le indagini preliminari lo ha assolto  con formula piena perché l´omicida avrebbe agito " in preda ad un disturbo psichiatrico delirante". Il Pubblico Ministero aveva chiesto una condanna a 24 anni ma il GIP l´ha respinta giudicando Barbieri  soggetto non socialmente pericoloso e confermando l´incapacitá di intendere e di volere al momento del fatto. Da Reggio Calabria, invece, la notizia di un innocente che dopo piú di vent´anni riceve giustizia.(T.P.)
Ha passato ventun anni dietro le sbarre da innocente e per questo dovrà essere risarcito dallo Stato con 6.5 milioni di euro. È quanto deciso dalla Corte d'appello di Reggio Calabria per Giuseppe Gulotta, assolto nel 2010 dall'accusa di aver ucciso nel 1976 tre carabinieri in una caserma di Alcamo, in provincia di Trapani. Una sentenza ribaltata dopo oltre due decenni, anche grazie alla testimonianza di alcuni carabinieri, che hanno ammesso di avere torturato lui e altri due imputati per indurli a confessare una strage che non avevano commesso. Arrestato appena diciottenne, Gullotta ha passato quasi due decenni interrottamente in carcere, uscendo solo per brevi permessi durante i quali ha conosciuto una donna da cui ha avuto un figlio, senza però poterlo crescere. «Una cosa disumana» per l'ex ergastolano, che anche per questo sta valutando un ricorso in Cassazione contro un risarcimento che giudica limitato. «Stiamo valutando un ricorso in Cassazione – spiegail suo legale, Pardo Cellini -. Se da un lato siamo soddisfatti perche' con la decisione dei giudici di Reggio Calabria finisce questo lungo percorso, dall'altro non ci soddisfa che sia stato riconosciuto un indennizzo e non un risarcimento».(corriere della calabria.it)


martedì 12 aprile 2016

SI TERRÁ A REGGIO CALABRIA IL 3 MAGGIO LA GIORNATA DELLA MEMORIA DEI GIORNALISTI UCCISI DA MAFIA E TERRORISMO


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La Giornata della memoria dei giornalisti uccisi da mafie e terrorismo si svolgerà il prossimo 3 maggio 2016 a Reggio Calabria in collegamento con  la Giornata per la libertà dell’informazione indetta dall’Onu. Lo ha deciso la Giunta nazionale dell'Unci, riunitasi a Roma nella sede della Fnsi. Il testimone, dunque, passa dalla Toscana, regione nella quale ha avuto luogo nel maggio di quest'anno l'ottava edizione, alla Calabria. Il vice-presidente nazionale dell'Unci, Leone Zingales, che è l'ideatore della manifestazione, ricorda in sintesi i passaggi salienti che hanno portato alla istituzione della Giornata: "Non c'era un evento che ricordasse in una sola volta tutti i giornalisti uccisi da mafie e terrorismo e così nel 2006 il Consiglio nazionale dell'Unci, accogliendo una mozione presentata dal Gruppo siciliano, ha deciso l'istituzione di una Giornata dedicata ai nostri colleghi. L'Unci colmava un vuoto". "Mi piace sottolineare - ha concluso Zingales - che la prima edizione ha avuto come palcoscenico il Campidoglio in Roma nel 2008. C'erano quasi tutti i familiari delle vittime. E c'erano anche giornalisti rimasti feriti in agguati terroristico-mafiosi - come l'ex direttore del Tg1, Emilio Rossi. Chi si è avvicendato al microfono ha offerto un valido contributo al dibattito. I familiari hanno ricordato i loro cari in un'atmosfera di commozione sincera". La Giornata della Memoria è itinerante. Dopo Roma l'evento ha avuto luogo a Napoli, Milano, Genova, Palermo, Perugia, Cagliari e Firenze. La manifestazione organizzata dall'Unione cronisti ha l’intento di ricordare l'esempio di chi ha pagato con la vita il desiderio di informare, di raccontare anche e soprattutto quello che è scomodo, quello che non si deve dire. Uomini e donne morti “sul campo” dell'informazione. Uccisi perché scomodi, perché hanno saputo raccontare con immagini e parole quello che andava taciuto. La Giornata serve anche a sostenere i troppi giornalisti che ancora oggi subiscono intimidazioni e minacce per assolvere al diritto-dovere di informare in modo corretto, completo e tempestivo i cittadini. I giornalisti caduti o feriti nel compimento del loro dovere professionale saranno ricordati attraverso le testimonianze di familiari e dei colleghi che li hanno conosciuti. (UNCI)

sabato 9 aprile 2016

ESTORSIONI A MILANO: É SEMPRE COLPA DI CALABRESI E SICILIANI ......?

Estorsioni a Milano: molte e invisibili

estorsioni milanoNon  siamo a Palermo e neppure a  Reggio  Calabria, dove la tassa alla criminalità spesso è quasi d'obbligo se non vuoi  saltare in aria col tuo negozio o la tua industria. Ma anche a Milano, in  molte  periferie, il  "pizzo"  impera e se non lo paghi la tua esistenza diventa un inferno.  Le bombe, per  ora, si contano sulle dita di due mani.  Per ora. In  attesa che  cadano le ultime sacche di resistenza e il tritolo la faccia da padrone.
E' un problema squarciare il velo di paura che serpeggia tra i commercianti di via Lorenteggio. Qualcuno bisbiglia, qualcun altro  accomuna mezze bugie a parziali ammissioni.  Di  certo  la crisi  e la criminalità hanno sconvolto il lavoro  di decine di operatori.  Ad  aprirci  cuore  e  polmoni è un  esercente  d' abbigliamento, del quale il cronista non  indicherà nemmeno le iniziali. Per sicurezza e per  compassione.  A questo  siamo arrivati.
- Siamo alla periferia  sud ovest  di  Milano.
"Si. Via  Lorenteggio è un' arteria che parte da piazza Bolivar, circonvallazione esterna, e termina a Corsico, nel villaggio dei grattacieli e degli uffici decentrati ".
- Quando sono iniziati i taglieggiamenti?"A metà degli anni Settanta, dopo l'esplosione dell'immigrazione interna che ha portato nella nostra città migliaia di onesti lavoratori con centinaia di delinquenti".
- Non li avete denunciati subito?"No, ed è stato il nostro errore.  Pensavamo fossero degli episodi isolati, momentanei; fino a quando non abbiam scoperto, parlando tra noi,  che il cancro era così diffuso da esser diventato inestirpabile".
- Possibile, a  Milano?"Tenga  presente che già negli anni Settanta interi agglomerati delle cosi dette case popolari erano abitati da numerosi nuclei famigliari provenienti, per lo più, da paesi dell'ultima regione dello stivale".
- Tra  la cecità o l'interesse della politica nostrana, suppongo.
"E'  così. Le cito un esempio, fra i tanti. Un  intero borgo  della Sila è migrato a  Milano nel 1974 ;  e parecchi  dei suoi abitanti in giovane età han trovato lavoro in Comune, allora dominato dai socialisti ".
- Come  avviene  l'approccio criminale?                                                                                                 
"Due  o tre  persone si presentano in negozio. Si nota subito a cosa puntano. Non chiedono merce da visionare, s'informano piuttosto su come vanno gli affari, la prendono alla larga, ma senza troppi giri di parole, poi, vengono al punto:  se desideriamo  vivere  in pace,  dobbiamo  erogare  un mensile all'organizzazione ".
- E se  rifiutate?
"Si rivedono  in quattro, cinque. Saccheggiano il negozio e aumentano le intimidazioni,  ricattando sugli affetti  parentali, la parte  debole di tutti noi. Sono informatissimi sulle abitudini di vita di moglie e figli".
- E le forze dell'ordine  che fanno?
"Possono  intervenire in pochi casi. Per un'efficace prevenzione dovrebbero essere migliaia sul territorio. E invece si  contano a decine. Quanti uomini ha, per esempio, il nostro commissariato di riferimento?  Altro problema è la tutela garantista della quale godono. I giudici vogliono prove. Loro, dietro ad una comoda scrivania. Venissero di persona a cercarle...".
La  rabbia del nostro interlocutore monta. Insieme ad una frustrazione lampante.  Provo a stemperarla.     
-  Non avete  mai pensato  alle ronde di solidarietà ?  Non solo notturne, da  attivare  quando notate gli esattori in azione...
"Può essere un'idea. Ma gl' incassi, chiamiamoli  così,  avvengono  all' improvviso, senza una scadenza programmata. Siamo al solito punto, servirebbero  molti uomini, che non abbiamo. Noi, poi, dobbiamo condurre  un'attività, già di per  sé, in questi  tempi, problematica. Loro, i malfattori, hanno invece tutto il tempo che vogliono...".
- In apparenza, un problema irrisolvibile.
"In verità una soluzione ci sarebbe. Rifiutarsi tutti di pagare. Ma siamo alle solite. Ognuno pensa al proprio orticello. Scattano le defezioni. Su queste contano i delinquenti. E su queste puntano alla vittoria".
- Mi vien voglia di far west.
"Abbiamo pensato anche agli sceriffi, ma costano troppo. Lo snodo è qui. E loro lo sanno". 
- Presumo che il punto finale  sia la proposta d'acquisto dell' attività ad un costo irrisorio.
" Ha indovinato.  E diversi hanno già venduto".
- Le pressioni  sono maggiori nel primo tratto - diciamo fino in piazza  Frattini  - o dopo, quando iniziano a  profilarsi i quartieri aler senza controllo?
" Non esistono punti preferenziali.  All'inizio, si. Ed era  la porzione  da  piazza Frattini ad ovest, verso  la  periferia".
-  Esasperato, sparerebbe  alla prossima  sanguisuga che si presentasse al suo negozio?
"Per finire ventanni in galera?  No. Cambiassero i giudici.... Gli onesti, oggi come oggi, sono ostaggio di una magistratura insensata e di una  delinquenza  onnipotente ".
Il cronista saluta dopo aver rifiutato un completo blu in dono. Percorre  l'intera via Lorenteggio a passo cadenzato, infradiciato da una depressione insidiosa.  Per un attimo pensa di essersi perso. Ad Oppido Mamertina.

mercoledì 6 aprile 2016

QUANDO SCIENTEMENTE FACCIAMO IL MALE DELLA CALABRIA ( MA TANTO ORMAI......)

Vi segnalo il messaggio di Salvaggia Lucarelli postato  su facebook. Dice quello che la maggioranza dei calabresi pensa dei governanti calabresi.Quelli di ieri, di oggi e, mi dispiace dirlo, forse anche di domani. Non ci sono altre parole. Anzi si. Una cosa che la Lucarelli non ha segnalato: manca un sito di riferimento!Chi paisi, chi paisi....

Sulla rivista di bordo di Ryanair c'è la pubblicità della regione Calabria (che farà il giro dell'Europa) con tanto di loghi che indicano la sponsorizzazione della regione e non solo. Ora, la sciatteria e il degrado di un paese le capisci anche da queste cose. Non so chi sia il grafico/pubblicitario/copy che s'è occupato di questa pagina ma immagino sia un bambino di otto anni o un alcolista o il nipote del cugino del fratello di un qualche assessore del turismo calabrese ma ditemi voi se è possibile che : a) il titolo sia un mesto arial bianco che si vede malissimo e non è manco centrato. b) velo pietoso sui puntini di sospensione in un titolo (con la minuscola dopo). b) nella scritta in fondo "sistema aeroportuale" sia scritto "sistema aeroportualeR".
Peracottari tutti. Chi ha incaricato dei peracottari, chi non ha visto gli errori dei peracottari e chi paga dei peracottari per lavorare con tutti i grafici/pubblicitari/copy bravi che fanno la fame.
L'altro Paradiso non è la Calabria. E' il posto in cui per questa mediocrità non c'è spazio. (la Calabria è una regione bellissima, merita di più. Ribellatevi amici calabresi.)
p.s.
Sì, magari anche le ciavatte sullo scoglio le avrei tolte, ecco. Pure il mezzo culo del tipo in mezzo, ecco.





martedì 5 aprile 2016

OPPIDO, LA PROCESSIONE( SENZA INCHINI) DI M.SS.ANNUNZIATA: VIDEO







Tanta gente, ma anche tante forze dell´ordine mimetizzate tra i fedeli, alla prima processione dopo i due anni di riposo forzato ordinato dal vescovo della diocesi Francesco Milito, in seguito ai fatti avvenuti durante la processione di M.SS.delle Grazie nel luglio del 2014.
A mezzogiorno in punto, come vuole la tradizione, l´imponente statuta della Madonna, patrona della cittá e diocesi di Oppido, si é snodata per le vie del paese seguita da migliaia di fedeli e senza effettuare soste di alcun genere( neanche davanti all´ospedale come ha fatto per decenni) se non per permettere il cambio ed il riposo dei portatori. Altra novitá , le autoritá civili e militari seguono e non precedono la statua come finora é sempre stato.
Dopo appena un´ora ( ricordiamo che per la recente ordinanza le processioni non possono durare piú di due ore) la statua ha fatto rientro in Cattedrale tra due ali di folla.
L´omelia del vescovo, che ha concelebrato la messa insieme ad un centinaio di sacerdoti provenienti da tutta la diocesi, ha concluso i festeggiamenti.
In settimana la statua fará ritorno nella sua teca dove resterá fino al  15 agosto data in cui verrá riportata nuovamente in processione.


A PROPOSITO DEI VELENI CHE AMMAZZANO DI CANCRO LA CALABRIA



TERMOVALORIZZATORE DI GIOIA TAURO

LAMEZIA TERME «Iam non ha nessun tipo di problema, è la popolazione che ha il problema... il problema degli odori: ormai esce su tutti gli impianti... delle vostre acque». Antonio Curcio, legale rappresentante della Ecosistem – ditta lametina che lavora nel settore rifiuti – si confronta al telefono con Vincenzo Lisandrelli, il manager che gestisce per conto dell'Eni i rifiuti liquidi prodotti nel Centro Oli di Viggiano. Si tratta di uno dei passaggi più importanti del filone dell'inchiesta "Tempa rossa" – lo scandalo che ha portato alle dimissioni l'ex ministro Federica Guidi – che tocca la Calabria. Che, questa volta, non è al centro di mazzette e corruzione ma è stata raggiunta da un traffico di rifiuti: vantaggiosissimo per le tasche di imprenditori e manager del colosso energico, molto pericoloso per i cittadini e per l'ambiente. La Iam (sta per Iniziative ambientali meridionali) gestisce il depuratore di Gioia Tauro, un impianto che – scrive la Procura di Potenza – non era in grado di trattare i rifiuti pericolosi che giungevano dalla Basilicata. Per questo motivo Giuseppe Fragomeni, amministratore delegato della ditta ed ex dirigente della Regione, è indagato. Il trucco, secondo i magistrati, era semplice quanto rischioso: bastava modificare il codice dei rifiuti, facendo finta che fossero normali reflui, e recapitarli a impianti "regolari", in giro per l'Italia. In Calabria, due di essi non erano autorizzati a gestire scarti pericolosi, eppure lo hanno fatto. È successo a Gioia Tauro (con la Iam, appunto) e Bisignano, nel depuratore della Consuleco (il cui legale rappresentante, Vincenzo Morise, è indagato al pari di Fragomeni). Curcio ribadisce che il problema c'è: «Allora, ti dico la verità... il problema della... del cattivo odore c'è su tutti gli impianti. Ora è peggiorato con il caldo, quindi dobbiamo vederci un attimino perché qualcosa si riesce a fare, ma dobbiamo farlo... lì a Viggiano, dobbiamo vedere un attimino di poter fare qualcosa lì su... su Viggiano. Cioè dobbiamo dare lì qualcosa, qualche trattamento, qualche prodotto da poter mettere affinchè... viaggiamo un attimo tranquilli per tutta l'estate». Il problema è quello di «viaggiare tranquilli»: nessuno sembra preoccuparsi dell'ambiente e delle conseguenze di quei trattamenti. Sparito il cattivo odore, spariranno anche i problemi con i cittadini.
MIGLIAIA DI TONNELLATE Ma l'odore non è l'unico problema che emerge dalle carte dell'inchiesta. L'immane mole di rifiuti liquidi prodotta nel Centro Oli ha bisogno di essere smaltita. A questo scopo, scrivono i magistrati, «Eni ha posto in essere una vera e propria organizzazione, che seppur inquadrata amministrativamente dai due contratti stipulati rispettivamente con i Raggruppamenti Temporanei d'Imprese Ireos e Ecosistem, di fatto è finalizzata al traffico illecito dei rifiuti». La Procura indaga su due anni, il 2013 e il 2014, nel corso dei quali migliaia di tonnellate di rifiuti pericolosi sono arrivate nei due impianti calabresi che non avevano i mezzi per trattarle. Si tratta di 28mila tonnellate giunte a Gioia Tauro e circa 3.200 iniettate nel depuratore (e nell'ambiente) a Bisignano. In entrambi i casi, il consulente nominato dagli uffici giudiziari ha evidenziato che «i rifiuti liquidi provenienti dalle due vasche (del Centro Oli, ndr) dovevano essere caratterizzati con i codici CER 19 02 04 (miscugli di rifiuti contenenti almeno un rifiuto pericoloso) e 13 05 08 (miscugli di rifiuti delle camere a sabbia e dei prodotti di separazione acqua/olio), entrambi pericolosi». Il codice assegnato, invece, era decisamente tranquillizzante e riservato agli scarti non pericolosi.

GLI ALTRI IMPIANTI Ci sono altri due impianti calabresi nell'inchiesta lucana. Entrambi, però, sono autorizzati a gestire i reflui in arrivo dalla Basilicata. Si tratta dei depuratori di San Pietro Lametino, gestito dalla Econet, e Crotone, di proprietà del gruppo Vrenna.

MILIONI DI EURO IN BALLO La regola aurea è accumulare denaro senza tenere conto delle conseguenze per l'ambiente. È l'ingiusto profitto uno degli aspetti dell'inchiesta che, ancora, passa per la Calabria. E tocca la solita Ecosistem. Questa tranche investigativa è collegata ovviamente agli aspetti economici legati al ciclo dei rifiuti programmato dall'Eni nell'ambito della filiera che include Gioia Tauro e Bisignano. «A fronte dell'ingente movimentazione e smaltimento di rifiuti – scrivono i magistrati –, si produceva un consistente ritorno economico per tutte le parti in causa, concretizzatosi sostanzialmente in un sostanziale risparmio per la committente Eni e in un ingiusto guadagno per gli impianti di smaltimento che, grazie alla "pilotata" e più favorevole classificazione del rifiuto, avevano potuto trattare il rifiuto celando, sotto una parvenza di legalità, un vero e proprio traffico illecito». Soldi per tutti, dal produttore (di rifiuti) a chi li smaltiva senza disporre di impianti adatti. La Ecosistem è una delle capofila nel sistema dei trasporti che ha permesso a Eni di risparmiare milioni di euro. La società, infatti, ha versato tra il 2013 e il 2014 – per smaltire i rifiuti classificati come "non pericolosi" – 21 milioni a Ireos e 11,4 milioni alle imprese del raggruppamento guidato da Ecosistem. Senza il "trucco" sulla classificazione dei rifiuti, secondo l'accusa Eni avrebbe speso tra 10 e 37 milioni in più (le cifre sono calcolate richiedendo preventivi ad altre società del settore).

INDAGATI CALABRESI Sono sei i calabresi indagati nello scandalo del Centro Oli di Viggiano. Si tratta degli amministratori della Ecosistem Salvatore Mazzotta, 43 anni, residente a Montepaone; Rocco Antonio Aversa, 53 anni, residente a Lamezia Terme; Antonio Curcio, 49 anni, residente a Lamezia Terme; di Giuseppe Fragomeni, 73 anni, e Maria Rosa Bertucci, 57 anni, rispettivamente amministratore unico e responsabile tecnico della Iam; e di Vincenzo Morise, 69 anni, amministratore unico della Consuleco.

fonte:pablo petrasso corrieredellacalabria.it

lunedì 4 aprile 2016

A PROPOSITO DI QUANTO SUCCESSO AD OPPIDO, ECCO COSA SCRIVEVA DUE ANNI FA VITO TETI.

Riprendono oggi, con la processione a mezzogiorno della Madonna Annunziata patrona della cittá e della diocesi, le  "manifestazioni di pietá popolare " sospese due anni fá dopo i cosiddetti " fatti di Oppido ". In quell´occasione Vito Teti, antropologo e docente universitario, scrisse questa riflessione che oggi vi ripropongo.





Tutta la Calabria è come Oppido Mamertina

Il j'accuse di uno dei più importanti intellettuali calabresi: «Per dare speranza alla regione bisogna partire da questa scomoda verità»

C’è una cappa mediatica e un’opa identitaria angusta sulla Calabria. Te ne accorgi quando vai fuori, in Italia e all’estero, e provi un senso di sollievo, misto ad amarezza, nel non leggere (su carta o su tanti siti web) commenti, riflessioni, retoriche identitarie che affossano la nostra regione, ne annullano il senso critico, un vero e problematico, sofferto, sentimento dell’appartenenza, incoraggiano alla lamentela, al rivendicazionismo immotivato, al rifiuto di ogni assunzione di responsabilità
Provo a riassumere, in maniera riduttiva e schematica, le “tesi” che mi capita leggere su giornali, riviste, siti, facebook – che ormai stancano e sono anche illeggibili, nella loro ripetitività, nella loro inconsistenza analitica, nella loro incapacità di sguardo prospettico e di alimentare speranza a partire dal sé e non da quello che dicono gli altri. Cosa sostengono i portavoce dell’identità assediata? 1. La Calabria è oggetto di attacchi, incomprensioni, calunnie esterne e questo spiega la sua “arretratezza”, la sua marginalità. 2. Il problema della Calabria non è la ‘ndrangheta, non è la malapolitica, non sono i calabresi, ma sono gli altri, la stampa del Nord, chi non comprende una regione bella e ricca, accogliente ed ospitale. 3. La ‘ndrangheta del passato aveva dei valori popolari ed era anche risposta all’aggressione dei colonizzatori esterni. 4. La ‘ndrangheta è una continuazione del brigantaggio ed esprimeva anche i sentimenti di giustizia delle popolazioni. 5. Tutti i guai della Calabria e del Sud cominciano con l’unificazione nazionale: prima c’era l’Eden, lo “sviluppo”, la primitività genuina, adesso tutto è stato corrotto dagli altri, dai forestieri, dai nemici esterni. Come se la Calabria e il Sud non avesse partecipato, con i suoi ceti politici e dirigenti, al degrado, all’avvelenamento, alla corruzione del Sud e dell’intero paese. Come se scempi urbanistici, mancanza di tutela del territorio, incuria e incompiutezze, macerie e degradi non avessero visto come protagonisti interessati quanti poi piangono per la sfortunata e incompresa regione.
Giudici, studiosi, giornalisti seri che amano questa terra, ma non possono tacere, non possono assistere silenziosi non solo a questo degrado, ma anche alle spiegazioni che ne vengono date, spesso sono stati considerati traditori e calunniatori della loro terra, alla quale hanno dedicato, magari, una vita e, spesso, la vita. Il bersaglio dichiarato di molti commentatori è a volte la retorica dell’antimafia. Ora che l’antimafia abbia partorito anche interessi, spazi di potere, collocazione e visibilità poco edificanti, è sotto gli occhi di tutti. Ma ridurre l’opposizione vera alla criminalità sempre e comunque come un gioco di potere complementare alla delinquenza, diventa ingeneroso, calunnioso, pericoloso per quei giovani che non vogliono tacere, per magistrati e forze dell’ordine che sono in prima linea nel contrasto alla criminalità, per intellettuali, professionisti, gente comune che vivono nel rispetto delle regole, onestamente, e sono in prima linea nella difesa della legalità.
La parolina magica che accomuna tanti “maestri del pensiero”, notisti, fondisti è “garantismo” come se il garantismo possa diventare uno slogan, un invito ad assolvere i criminali e i loro sodali e sostenitori, e non una pratica democratica, una conquista civile e illuminata, valida sempre e per tutti. E invece i predicatori del garantismo sono garantisti con i giudici indagati e condannati, mai con i magistrati che contrastano il crimine, rischiando la vita, quotidianamente. Il garantismo è per quella Chiesa perdonista e predicatoria e non per quei parroci coraggiosi e veri che contrastano, nei fatti, non solo a parole, la criminalità e invitano alla legalità. Il garantismo è per gli imprenditori che rubano il danaro pubblico, sciupano i fondi europei, si arricchiscono nel giro di pochi mesi e mai per i giovani senza lavoro e che perdono il lavoro.
Il garantismo è sempre per i carnefici, mai per le vittime. Le garanzie vengono invocate, anche giustamente, per ogni cittadino, ma ci sono cittadini più degli altri. Se qualcuno ha commesso un reato, può stare più tranquillo di chi lo ha subito.
Adesso – dopo silenzi e omissioni della Chiesa – la presa di posizione e le parole profonde e vere del Papa mostrano che il Re è nudo, che non basta coprirlo con piccoli pannicelli sporchi, con commenti che ubbidiscono a interessi più o meno palesi, o semplicemente a bisogno di visibilità, al gioco di spararla grossa, ad analisi in cui si sostiene tutto e il contrario di tutto, a commenti nei quali, in maniera schizofrenica, si passa dall’indignazione parolaia estrema all’autoassoluzione più vergognosa. Adesso quanto accade ad Oppido – ma c’era bisogno di Oppido? Non bastavano i fatti di Sant’Onofrio e Polsi, le analisi e le descrizioni, pure di Sales, Saviano, Gratteri, Nicaso, Ciconte, Albanese, Baldassarro, Comito e tanti altri? – ci dice quanto radicate siano l’assuefazione, l’apatia, la confusione. C’era bisogno della voce di papa Bergoglio per fare capire come non sia possibile più nascondersi, ammiccare, giocare con revisionismi, informare in maniera tendenziosa, cedere alla lamentela. Credo che in molti dovrebbero almeno tacersi ed evitare, adesso, di dirci quanto ha ragione Papa Francecso e anche fare finta di stupirsi per Oppido. Tutta la Calabria, senza per questo dimenticarne bellezze e grandezza, generosità e slanci, è, purtroppo, in maniera diversa, una grande Oppido. Da qui bisogna partire, da questa dolente constatazione, da questa scomoda verità, se si vuole dare, davvero, speranza a questa terra.