sabato 4 marzo 2017

PERCHÉ I NOSTRI PAESI SI SPOPOLANO ? QUALCHE IDEA PER NON FARLI MORIRE



Turi Rugolo, Cristian Scattarreggia e Domenico Italiano 


Avevo trent´anni quando lasciai Oppido Mamertina alle mie spalle in cerca di nuovi stimoli e opportunitá. Non era una ricerca di lavoro, quello c´era giá, anzi ne avevo due. Sfidavo me stesso, le mie ambizioni ed il mio orgoglio. Volevo provare una nuova strada e dare scacco al rimorso che altrimenti mi avrebbe roso il fegato per il resto dei miei giorni. Tanto se fosse andata male di li a qualche anno sarei tornato, con la coda tra le gambe, ma sarei tornato. In questo caso non mi sarei considerato un fallito, no, solo uno che ci aveva provato e non ce l´aveva fatta. Sarei tornato a testa alta e senza vergogna. Sarei tornato perché da calabrese, da meridionale le mie radici non avrei potuto tagliarle,sono radici grosse e profonde e reciderle non é semplice. Non é semplice neppure adesso, trent´anni dopo, nonostante gli affetti familiari non ci siano piú.
Me ne accorgo quotidianamente quando la prima lettura dei giornali é dedicata alle notizie dalla Calabria, quando apro i social con l´ansia di trovare delle importanti novitá dal paese, quando in rete vedo il tg3 regionale o ascolto qualche dibattito in diretta proposto dalle emittenti locali. Non sono ossessionato dalla mia terra, al contrario, sono innamorato. E gli innamorati diceva Shakespeare“ sono come i pazzi : hanno sempre il cervello in gran bollore ed una fantasia cosí feconda, da riuscire a concepire piú cose di quanto la ragione loro, a freddo, si mostra poi disposta ad accettare “.
E cosi, quando di tanto in tanto torni a trovare gli amici, vorresti vedere il tuo paese, la tua terra, diversa da come viene dipinta e dileggiata. Vorresti trovare strade perfette, linee ferrate moderne, paesi e cittá tirati a lucido, ospedali efficienti, mare pulito e montagne incontaminate. Cosi come sono, in buona parte, nelle terre che ti vedono emigrato.
E invece no. La realtá é un´altra. Trovi la desolazione.La miseria. Il silenzio. L´abbandono. Soprattuto nei paesi dell´interno che piú degli altri scontano questa desertificazione. Ma non che nella costa se la passano meglio. Puó esserci un po´di vitalitá in quei venti giorni di agosto, quando tornano i “ milanesi “, poi anche li é il deserto.


 Prima comunione parrocchia Tresilico anni 40 - Foto Luigi Morizzi


E cosí quando torni ti arrabbi. Ti arrabbi perché vedi un paese morto. E se non é morto é in coma irreversibile. D´estate non ti accorgi perché le strade sono animate fino a tardi, ci sono le feste, le sagre, i giovani fanno le ore piccole con briosche e granite davanti ai bar. Ma se vai d´inverno, quando le giornate muoiono presto e provi a fare un giro per le strade che ti hanno visto giovane, rimani colpito dalla solitudine che ti viene incontro. Strade e case deserte, nessun bambino che si rincorre per strada, nessuna commare sull´uscio a parlare, nessuna macchina che usa il clacson per salutarti. Il silenzio piú assoluto. Ma non perché la gente sia al lavoro o occupata nei lavori domestici o i giovani a studiare. Magari. E che qui la gente non c´é piú. Proprio non vi abita. Sono piú le case chiuse o con il cartello “vendesi” che quelle “ vissute”. Sono scomparse le attivitá commerciali che un tempo animavano il lungo Corso e attiravano lo struscio. Nella grande piazza che ospita la Cattedrale ci sono due bar, un fruttivendolo, una gioielleria,un tabacchino e una farmacia. Basta. Il resto sono saracinesche abbassate o portoni chiusi.

Scuola di cucito anni 30- foto Luigi Morizzi
 
Non ci sono artigiani in un paese che di artigianato viveva. Niente falegnami, niente fabbri, niente sarti, niente orefici, niente ciabattini, niente bariari, con le loro botteghe sempre piene di bambini 
parcheggiati li per apprendere o per non stare in strada. Niente di niente. Un paese che nelle annate piene d´olive risuonava delle macine dei trappiti e puzzava di murga, oggi non ha piú ne suoni ne odori. Oppido negli anni ottanta, non un secolo fa, contava piú di ottomila abitanti. Oggi il centro non arriva a tremila. Si é vero come altri centri dell´interno é stato svuotato: hanno chiuso l´ospedale,un tempo fiore all´occhiello della sanitá calabrese, l´ufficio del registro, la pretura, l´Inam, perfino la curia vescovile ha spostato i suoi uffici in altra sede, piú centrale( come se per ritirare un certificato di matrimonio in un paese piuttosto che in altro cambiasse qualcosa).
E´rimasta qualche scuola che ospita perlopiú studenti dei paesi limitrofi. Null´altro. Certo, cosí come molti altri centri del sud, scontiamo una sanguinosa guerra di mafia che oltre a decine di morti ha prodotto quella che io chiamo “l´emigrazione da paura”. Una mafia che nonostante i morti non si é estinta, anzi. Certo bisogna mettere in conto l´incapacitá, l´indolenza e l´arroganza di gran parte del ceto politico che per decenni ha amministrato la cosa pubblica nei nostri comuni (senza dimenticare che quei politici li abbiamo eletti noi). O anche, come scrive l´antropologo Vito Teti “che la fine della civiltá contadina e l´avvento della modernitá a cavallo degli anni 60, sono eventi unici, epocali, irripetibili. Il paese considerato come luogo pacificato, gradevole,desiderabile diventato ora luogo di arretratezza e isolamento, sgradevole, indesiderabile “. Ma anche noi cittadini abbiamo le nostre colpe. Ancora Teti : “ Talvolta i paesi muoiono per scelte suicide della politica ma anche dei suoi ultimi abitanti. La terra che ha sopportato invasori e conquistatori,terremoti e frane,malaria e latifondo, baroni e criminali, corrotti e malfattori, adesso sfugge da se stessa, non ha voce nemmeno per chiedere. Ha sopportato esodi di centinaia di migliaia di persone che hanno costruito tante Calabrie altrove e adesso si sta estinguendo e dissanguando “.




Asilo nido per i figli delle raccoglitrici di olive anni 30 - Foto Lui Morizzi

Ma lasciamo stare colpe e colpevoli, pensiamo al futuro.Pensiamo a come “riempirli “  questi nostri paesi, a come ridare loro vita nuova. Anche perché, come dimostra il New York Times, che ha messo la Calabria tra le mete da visitare nel 2017 in virtú dei suoi prodotti enograstronomici, anche all´estero cominciano ad apprezzarci.
Oggi per fortuna qualcosa si muove e i social sono un veicolo da cui non si puó prescindere, perché coinvolgono, fanno da cassa di risonanza, propongono. E sono tante le testimonianze e i progetti che vengono proposti soprattutto da chi vive fuori dalla “sua “ Calabria.
Riqualificare i centri storici, oggi diventati l´emblema dell´abbandono e del degrado, puó essere il primo passo. Queste case e casupole che non hanno piú un proprietario e se ce l´hanno non lo vedono da decenni, potrebbero essere ristrutturate, adeguate alle normative antisismiche e date in affitto a prezzi agevolati. Magari a chi in cittá non vuole o non puó piú vivere. E i primi che mi vengono in mente sono quei pensionati, gli over 60, che con 800 euro al mese fanno fatica a sopravvivere nelle grandi cittá del nord mentre da noi vivrebbero in maniera dignitosa . Qui avrebbero una vita nuova, nuove relazioni sociali e potrebbero magari rimettersi in gioco. Ed i vantaggi per i locali sarebbero tanti. Ripopolamento, economia rivitalizzata con i nuovi arrivi, edilizia in movimento e riqualificazione estetica che di certo migliora la capacitá attrattiva.
Capacitá attrattiva significa turismo.
Certo dobbiamo metterci in testa che non possiamo aspirare ai milioni di turisti che invadono la Toscana,il Veneto, la Sicilia o il Lazio. Noi purtroppo abbiamo poco da offrire. Non abbiamo i templi greci ne il foro romano, non abbiamo Venezia o Pompei e neanche Firenze o Milano. Le intemperie e la mano dell´uomo hanno fatto i disastri che sappiamo. E stiamo perdendo il mare e la montagna, le nostre ricchezze. Inquinato il primo, avvelenata la seconda. Ma forse siamo ancora in tempo a metterci una pezza. A salvarli e salvarci dalla rovina.
E mi torna in mente ancora Oppido con la sua montagna, i suoi siti archeologici medievali e di epoca romana, con la sua enorme Cattedrale, il suo museo Diocesano,le sue chiese e quel che rimane dei suoi palazzi del settecento. Si potrebbe cominciare creando un percorso per le scuole della provincia che organizzano le gite di un giorno. Al mattino si gira per le aree archeologiche, a mezzogiorno un pasto con i prodotti del luogo e al pomeriggio si visita la cittá. Con una buona promozione quelle due- tre scuole a settimana sarebbe possibile averle.
E parliamo di 150/200 ragazzi che con pochi euro a testa ridarebbero vigore ad una comunitá.

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 Oppido Medievale: ruderi del Castello e della Cattedrale

Paesaggi, prodotti del luogo, monumenti e beni immateriali, possono attrarre flussi turistici,innescare processi economici e dinamicitá, mettere in moto tante iniziative locali “ suggerisce Vito Teti.
Volontá, voglia di fare, amore per la propria terra possono essere gli ingredienti per il rilancio
di una Calabria in cerca di riscatto.
All´origine di ogni abbandono c´é una maledizione” dice Teti, “ come all´origine di ogni fondazione c´e´un evento prodigioso o miracoloso. La strada nuova magari é quella di trasformare la maledizione in benedizione “.

Tonino Polistena







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