E’
stata eseguita ieri l’autopsia sul corpo di Teresa Bitonti, 75
anni, la donna di San Giovanni in Fiore, morta l’altra mattina alle
4 dopo essere stata dimessa dal nosocomio dell’ospedale silano. La
donna aveva lamentato un malore, forse un infarto, ma i medici non
l’hanno ricoverata. Dopo poche ore che la donna è tornata a casa
il cuore non le ha retto più. Per questa vicenda la Procura della
Repubblica di Cosenza, nella persona del pm Giuseppe Cozzolino, ha
aperto una inchiesta. Nel fascicolo risultano indagati per omicidio
colposo due medici in servizio presso il nosocomio di San Giovanni in
Fiore (LEGGI)
Da
quanto si apprende, però, i due medici potrebbero non essere
colpevoli della morte della donna. La verità che sostiene la difesa
dei due sanitari è molto più grave e preoccupante. La difesa
sostiene infatti che la donna abbia firmato le dimissioni volontarie
dall’ospedale nonostante il parere contrario dei medici che
l’avevano in cura. Il problema principale però ha riguardato la
mancanza di posti letto in terapia intensiva. Dalle carte sequestrate
dalla Procura emergerebbe che i medici hanno contattato nell’ordine
gli ospedali di Crotone, Cosenza, Paola, Rossano, Castrovillari,
Catanzaro e Lamezia Terme. In nessuno degli ospedali però era stato
trovato un letto per la signora. Così questa avrebbe deciso di
tornare a casa.
Così
andrebbero le cose nella Calabria dove, se si abita in paesi
dell'entroterra, anche avere un infarto è una sorta di lusso. I
medici di San Giovanni in Fiore non avrebbero avuto infatti i mezzi
per curare al meglio la paziente. Da qui la necessità del ricovero
in altra struttura. Dalla disperazione pare che i sanitari avessero
contattato anche una struttura privata del tirreno cosentino, ma
anche in questo caso senza successo. Vedremo cosa emergerà
dall’eventuale processo. I familiari hanno infatti sporto denuncia
contro i sanitari che erano di turno in quel momento al pronto
soccorso dell’ospedale. La vittima era stata portata dai figli in
ospedale mercoledì scorso intorno alle 17 per problemi respiratori e
dolori addominali. Da subito si erano evidenziati valori sopra la
norma e la paziente è stata trattenuta per ripetere le indagini,
così come prevede il protocollo. Nel frangente alla paziente era
stato iniettata una soluzione fisiologica endovena e del “Laxis”.
Ripetuti gli esami degli enzimi dopo tre ore, questi davano conferma
dell’infarto in corso. Dai medici però è stato fatto presente che
non c’erano posto letto disponibili. Da qui la decisione del
ritorno a casa e il decesso avvenuto dopo tre ore.
Caccia ai latitanti: un sito internet unico per l'Europa
Nasce il sito europeo per la ricerca di latitanti. Sotto l'egida di Europol, l'agenzia europea di polizia, è stato creato un sito internet che raccoglie i ricercati più pericolosi. Alla realizzazione delle pagine web hanno partecipato 28 Stati membri dell'Unione europea che aderiscono all'Enfast (European network of fugitive active search teams).
Le funzionalità del sito prevedono le segnalazioni, anche anonime, su criminali di alto profilo ricercati a livello internazionale, condannati o sospettati di aver commesso reati gravi o attentati terroristici in Europa. I contenuti saranno gestiti e pubblicati dai Team nazionali Enfast.
Si è scelto di presentare una lista compatta con un numero ristretto di latitanti che verranno scelti e aggiornati in base alle priorità. L'Italia al momento ha inserito due latitanti Matteo Messina Denaro, boss di Cosa Nostra e Ernesto Fazzalari, pluriomicida della 'Ndrangheta, condannato all'ergastolo.
Per l'Italia l'attività di aggiornamento delle pagine web e di coordinamento con gli altri team sarà svolta dalla Direzione centrale della polizia criminale -Servizio per la cooperazione internazionale di polizia (Scip); proprio il direttore del servizio Gennaro Capoluongo, commentando l'iniziativa, ha dichiarato "La lotta al crimine passa attraverso la cooperazione e la condivisione in tempo reale di ogni informazione utile per la cattura dei latitanti ed in questo senso il sito web di Europol rappresenta un importante strumento d´indagine.
Voglio esprimere la mia personale riconoscenza e quella dell’intera Amministrazione Comunale di Oppido Mamertina per la brillante operazione condotta dalla Procura di Reggio Calabria edalle Forze dell’Ordine. Essa rappresenta l’ennesima dimostrazione di come sia incisiva e costante la loro attività sul nostro territorio.
Lo Stato oggi ha dato un segnale di presenza ed autorevolezza nel perseguimento della sicurezza collettiva, segnale che deve ricondurre alla fiducia nelle Istituzioni, che devono rappresentare un punto di riferimento importantissimo per tutti i cittadini.
È fondamentale, oggi più che mai, che ci sia una collaborazione tra le Istituzioni nel portare avanti una battaglia comune di lotta e prevenzione verso ogni forma di attività criminale, ognuno con i propri mezzi e nel rispetto del proprio ruolo.
La nostra Amministrazione Comunale plaude all’ottimo lavoro svolto dalle Forze dell’Ordine e ripone fiducia nell’attività di monitoraggio del territorio e di repressione della criminalità che esse svolgono quotidianamente.
Ogni giorno la nostra attività amministrativa è volta a perseguire la legalità e a dare segnali tangibili affinché questo valore diventi fondante nella vita quotidiana di tutti i nostri concittadini, e soprattutto in quella delle nuove generazioni.
Per questo motivo, sin dal nostro insediamento, non solo abbiamo istituito un assessorato alla Legalità, ma abbiamo intrapreso anche un percorso rivolto ai ragazzi di tutte le nostre scuole, con la speranza che possa rappresentare un utile strumento per riscoprire, ove già non fosse presente, quel necessario senso civico, base fondante del progresso culturale e umano, fondamentale per migliorare la vita dell’intera comunità.
Questo succederà quando si arriverà a capire che il rispetto verso tutte le persone e le cose che ci circondano, il rispetto per la società e per le regole del vivere civile è, innanzitutto, il rispetto per noi stessi, per le nostre potenzialità intellettive, per il nostro essere e per il nostro sapere e saper fare.
In attesa della notte degli Oscar,Las Vegas ha anticipato la consegna degli AVN Awards,ovvero i premi per i migliori film del 2015 nel campo del porno.Abbiamo selezionato per voi alcuni dei vincitori.....
Ecologica ed innovativa, si “farà notare” sui sentieri dell’Aspromonte. E’ la prima bici elettrica a pedalata assistita, interamente realizzata dagli studenti dell’ITT “Panella-Vallauri” di Reggio Calabria per il Parco Nazionale dell’Aspromonte, quale primo step del progetto “Una bici per il Parco”, efficace applicazione della sinergia collaborativa tra l’Istituto Tecnico guidato dalla prof.ssa Anna Nucera e l’Ente presieduto da Giuseppe Bombino e consegnata ufficialmente questa mattina presso l’Aula Magna dell’Istituto. La bici è completamene costituita da materiali ecologici ed ogni elemento che la caratterizza è stato progettato e realizzato in modo artigianale: certosino e impegnativo il lavoro con il quale gli studenti del “Panella – Vallauri” coadiuvati da un team di professori (Ettore Carmina, Nicola Ielo e Edoardo Morabito), è riuscito a portare a compimento in meno di un anno la prima fase dell’iter progettuale affidato dall’Ente Parco. “Ringrazio il Presidente e l’Ente Parco per la sensibilità e l’intelligenza avuta – ha esordito il Dirigente scolastico Anna Nucera . Venuto a conoscenza della realizzazione del primo prototipo da parte degli studenti, il Presidente ha chiesto immediatamente un incontro con noi, gettando le basi per programmare quello che oggi si realizza: una bici interamente prodotta dai nostri ragazzi che consegniamo al territorio dell’Aspromonte. L’Ente Parco ha voluto valorizzare la formazione e le attitudini dei nostri studenti che ringrazio per l’ottimo lavoro che hanno portato a termine”. “La “Mountain Bike”, funziona sia a pedalata assistita che come motorino, per cui percorrere insidiosi tratti in salita non sarà un problema effettivo. Il retrotreno è a sistema a quadrilatero deformabile, mentre la Staffa è realizzata in base alle esigenze di chi ne usufruisce. Il Display comprende 5 livelli di assistenza ed è completo di configuratore di velocità” hanno spiegato i docenti. “Oggi avviamo un processo che dovrebbe essere prassi nel nostro Paese: due enti che si mettono a sistema, collaborano guardando al futuro e costruendo opportunità per i giovani. Lo facciamo con concretezza. Questa impresa è stata pensata solo ed esclusivamente per voi – ha dichiarato il Presidente Giuseppe Bombino rivolgendosi alla platea colma di studenti -. Questa bicicletta è vostra, della città, della provincia, della montagna d’Aspromonte. In questo lavoro emerge con chiarezza tutta l’intelligenza dei giovani. Quella odierna è una giornata ricca di significato perché simboleggia l’incontro tra istituzione e studenti, è una qualcosa di straordinario, un evento di cui tutti dovrebbero essere pienamente orgogliosi. Un processo innovativo – ha concluso Bombino – che l’ente ha messo in campo per valorizzare le intelligenze dei nostri giovani e ad innescare processi positivi sul territorio. Avremmo potuto acquistare la bicicletta da qualsiasi casa o azienda di fama internazionale. Ma non era questo il nostro intento che tendeva, invece, a coniugare il prodotto ad una esperienza positiva che lascerà una traccia sul territorio incoraggiando i nostri giovani”. La bicicletta consegnata questa mattina, fa parte del primo prototipo delle 3 bici previste nell’accordo stipulato con l’Ente Parco dell’Aspromonte. Questa è una mountain bike da utilizzare nei sentieri dell’Ente Parco, la seconda sarà una bicicletta utile come soccorso medico nelle zone protette e la terza una bici per soggetti con problemi motori. Il Direttore dell’Ente Parco Nazionale dell’Aspromonte Tommaso Tedesco ha ricordato come, il progetto tra Istituto ed Ente non si limita alla realizzazione delle tre bici ma include il recupero a “Villaggio de Leo”, Centro Visita del Parco a Sant’Eufemia d’Aspromonte, delle attrezzature della falegnameria, uno dei primi esempi di impianto industriale evoluto, specializzato nella lavorazione di prima fase del legname, la cui attività produttiva e commerciale è riconducibile agli inizi del XX Secolo. “Anche con questa seconda fase – ha detto Tedesco – guardiamo al futuro dando ai giovani l’opportunità di sperimentare sul campo le proprie competenze ".
Ragazzo ucciso in Calabria. Spunta uno 007 del Vaticano
Un sacerdote in contatto con il servizio segreto della Santa Sede interviene nell'inchiesta su un omicidio commesso in Calabria. Un mistero su cui proseguono le indagini
L'omicidio InzitariÈ il servizio segreto più antico e più misterioso del mondo, tanto che il fondatore della Cia lo definì “l’Entità”: l’intelligence del Vaticano è una rete di spie che opera nell’ombra da quattro secoli. Ma ancora più sorprendente è scoprire che gli agenti della Santa Sede si sono interessati a un delitto di ’ndrangheta, compiendo un’istruttoria parallela. Un vero giallo: cosa ci fa un giovane prete calabrese che collabora con i servizi segreti pontifici dietro l’omicidio di un diciottenne, ucciso per vendetta da un sicario delle cosche? La storia comincia in una pizzeria di Taurianova, il paesone reggino alle pendici dell’Aspromonte, dove nel dicembre 2009 un gruppo di ragazzi si prepara a festeggiare il compleanno di una sedicenne. Un killer solitario, protetto dal buio della sera, si piazza davanti al locale e impugna la pistola. Spara con freddezza nove proiettili, tutti contro Francesco Inzitari: è il figlio da poco maggiorenne di Pasquale, un politico e imprenditore della zona arrestato nel maggio del 2008 con l’accusa di essere colluso con i clan. Il pistolero è un professionista, rapido, preciso e spietato: finisce la vittima con tre colpi alla testa. Un’esecuzione, rimasta ancora oggi senza responsabili.
La rete di spie agli ordini del pontefice risale al 1566. Simon Wiesenthal, il celebre cacciatore di criminali nazisti, la definì "il migliore e più efficace servizio segreto al mondo". A dargli importanza in tempi recenti fu Karol Wojtyla
Ma le indagini hanno svelato un’altra trama, che coinvolge boss, sacerdoti e “l’Entità” vaticana. La famiglia del ragazzo assassinato è infatti di Rizziconi, un piccolo centro della Piana di Gioia Tauro: il regno dei Crea, mafiosi di peso della ’ndrangheta, collegati a uomini infedeli dello Stato, politici, medici e professionisti romani. La loro rete di potere sembra avere agganci solidi e oscuri ben lontano dalla Calabria. E incute un muro di paura.
In molti hanno assistito al delitto, quasi tutti coetanei della vittima, ma nessuno ha visto in faccia il killer. Descrivono altezza, corporatura, il giubbotto scuro: «Ho visto un ragazzo di circa 23 anni. È spuntato da una strada vicino al locale e impugnava una pistola. Ha sparato a distanza ravvicinata un colpo all’altezza del petto di Inzitari che stava per cadere a terra. Ho visto quest’uomo di spalle mentre aveva il braccio teso ed impugnava una pistola di grosso calibro di colore nero. Non era incappucciato e non l’avevo mai visto prima», dichiara un testimone ai carabinieri e poi aggiunge: «Dopo aver sparato l’ultimo colpo si è girato completamente, rivolgendo le spalle al morto, ed è scappato a piedi».
Le modalità non lasciano dubbi: sull’omicidio c’è il sigillo della ’ndrangheta. E questa matrice alimenta una coltre di omertà. Lo dimostrano le intercettazioni sui telefoni dei ragazzi, terrorizzati dall’esecuzione. Cinque giorni dopo, dai controlli sui cellulari ordinati dalla magistratura arriva il colpo di scena.
Una delle testimoni riceve in serata un sms: «Ciao Angela, ti sei ripresa un po’? Se vuoi qualcosa non farti problemi a chiedermela. Non preoccuparti: sappiamo chi è stato. A presto». A scriverlo è un giovane prete, Giuseppe Francone, originario di Polistena, che all’epoca aveva 25 anni e affiancava il parroco di Rizziconi.
Angela fa leggere al padre il messaggio che ha ricevuto e che fa riferimento all’omicidio. Il genitore è sbigottito, chiama subito il sacerdote per chiedere spiegazioni. Don Francone gli risponde con voce calma: «Sappiamo chi è». Il papà di Angela lo incalza: «Cioè sapete chi è proprio materialmente?». «Sì sì, anche i mandanti», replica il sacerdote. Lo stupore del padre aumenta: «Mi sorprende il fatto che è una cosa che sai tu ma... le vie del signore sono infinite». Alla fine della conversazione l’uomo passa il telefono alla figlia e don Francone la tranquillizza: «Non ti preoccupare che tutto passa». Poi si mettono d’accordo: non bisogna dire nulla, in particolare a un’altra ragazza, tutti devono stare in silenzio.
Sono informazioni inquietanti. I magistrati della procura di Reggio Calabria che conducono l’inchiesta convocano il prete. Ma don Francone si giustifica e minimizza. Spiega solo di «aver sentito alcune voci in parrocchia sui possibili autori del delitto che sono vicini alla famiglia Crea» e inoltre dice che «dell’omicidio se ne è parlato anche all’interno della Curia (il vescovato di Oppido - Palmi ndr) e le voci sugli autori erano tutte indirizzate alla famiglia Crea, che personalmente non conosco». Gli inquirenti fanno notare che queste indicazioni confermano che Francone è a conoscenza del contesto criminale in cui è nato l’omicidio, ma il religioso - contrariamente a quanto affermato nella telefonata - non indica esecutori e mandanti.
Quando esce dalla procura, il prete sale in auto. Non sa che i carabinieri hanno nascosto una microspia nella vettura. Il sacerdote prende un cellulare, che non è intestato a lui e quindi non è stato messo sotto controllo. La cimice registra solo le sue parole, non è in grado di rivelare le risposte. Don Francone chiama il Vaticano e chiede di parlare con la segreteria di Stato. Poi si fa passare un ufficio di copertura dei servizi segreti del Santo Padre e si presenta al suo interlocutore con un codice numerico di sei cifre: la versione pontificia della sigla 007 di James Bond.
A quel punto domanda di «monsignore Lo Giudice», a cui fornisce una lunga descrizione. Don Francone racconta. Anzi fa rapporto a questo prelato che sembra essere il suo referente superiore. Nelle frasi captate dalla microspia ci sono accenni enigmatici: l’ipotesi che qualcuno, forse dell’intelligence vaticana, possa avere «interferito» con le indagini. Si evocano verbali e archivi, custoditi in Calabria, nei quali il religioso farà un controllo per vedere cosa emerge su Crea e Inzitari. Infine, esponendo al suo superiore la deposizione davanti ai pm, il prete dice: «L’unica cosa che mi hanno chiesto è che se acquisiamo informazioni di fargliele avere». Così sembra far comprendere al suo interlocutore che i pubblici ministeri forse sanno dei contatti con il servizio segreto della Santa Sede. Ma non intende fornire una collaborazione limpida. Sottolinea che prima di passare le informazioni ai magistrati vuole trasmetterle in Vaticano, in modo tale - spiega nella telefonata - che possano «lavorarle» a Roma e solo dopo, quando daranno il via libera, girarle alla procura. La conversazione si conclude rimarcando che è tutto «riservato» e augurando buon lavoro.
Don Francone è alto, bruno, con i capelli corti: ha il physique du rôle dell’agente speciale. L’unica foto disponibile sulla sua pagina Twitter lo mostra mentre stringe la mano a papa Francesco. Nel 2012 ha lasciato la Calabria e si è trasferito in una parrocchia del quartiere Prati, a pochi passi da San Pietro. Si è presentato ai suoi nuovi fedeli spiegando di essere stato vicario in tre parrocchie in Calabria, di aver ricoperto incarichi nella Curia diocesana e di aver insegnato religione nella scuola pubblica. Manifesta umiltà: «Ora il vescovo di Oppido-Palmi mi ha chiesto di specializzarmi in Utroque iure, cioè in Diritto canonico e civile, così da potermi mettere al servizio della diocesi, per cercare di renderla un po’ migliore di quanto già lo sia».
Dal 2009 le indagini sull’omicidio non hanno fatto passi avanti. Il pm Roberto Di Palma ha chiesto l’archiviazione dell’inchiesta. I familiari di Francesco Inzitari però si sono opposti e il gip ha accolto la loro istanza, ordinando alla procura nuovi accertamenti che sono ancora in corso.
L’ipotesi investigativa è che dietro l’uccisione del diciottenne ci sia una vendetta. Una punizione di sangue del clan Crea nei confronti del padre, Pasquale Inzitari, che assieme al cognato Nino Princi avrebbe fatto sapere alla polizia come catturare il padrino latitante Teodoro Crea. Teodoro Crea, detto “u Toru” venne arrestato dagli agenti della Mobile nel 2006. Due anni dopo però gli investigatori della Dia nell’ordine di custodia cautelare per Pasquale Inzitari includono le trascrizioni di alcune intercettazioni, dalle quali si può decifrare chiaramente il ruolo nell’arresto de “u Toru”. Poche frasi che potrebbero avere deciso la rappresaglia calibro nove. Ma non è l’unico movente, la ritorsione letale potrebbe scaturire pure da una lite nella gestione dei patrimoni del clan Crea: affidati in parte a Pasquale Inzitari che l’aveva affidata al figlio maggiorenne.
Gli inquirenti ipotizzano che il killer possa essere stato Giuseppe Crea, figlio di Teodoro, latitante dal 2006: un boss emergente nel gotha della ’ndrangheta, che ha ereditato la guida della famiglia. Ma adesso nel loro feudo di Rizziconi i Crea devono affrontare un altro problema. Il coraggio dell’ex sindaco Antonio Bartuccio ha fatto finire in manette tutti i vertici della cosca. Bartuccio non è un politico di professione e ha detto basta di fronte alle pressioni dei boss, denunciandoli con nomi e cognomi. È stato primo cittadino di Rizziconi nel 2010 per circa un anno, scontrandosi con chi esercita il vero potere nel suo paese: i Crea, appunto. Ma non ha accettato di mettere il municipio nelle mani dei clan, compiendo quella che altrove sarebbe una ovvia scelta civica mentre in questa parte di Calabria si è trasformata in un atto rivoluzionario. Dalle sue dichiarazioni è nata l’indagine condotta dal procuratore Federico Cafiero de Raho e dal pm Alessandra Cerreti della Direzione distrettuale antimafia di Reggio Calabria. «Ha collaborato pienamente alle indagini: lo Stato deve difenderlo e si prenderà cura della sua incolumità», ha promesso il procuratore: «Non gli è stato chiesto di abbandonare la sua casa perché lo Stato deve saper proteggere i suoi cittadini migliori in casa loro». Un coraggio ignorato però dalla politica locale. L’attuale sindaco non ha speso una parola in sostegno del suo predecessore. Anzi, in molti a Rizziconi cercano di isolare la famiglia Bartuccio. Mentre non mancano i gesti di solidarietà verso i Crea: segnali espliciti verso i detenuti e i loro parenti rimasti in paese.
È questa rete che copre la latitanza di Giuseppe Crea. E il suo esempio rischia di venire trasmesso al figlio tredicenne. Un ragazzino, che però sembra ricevere ordini dal nonno-capobastone detenuto. E che si mostra ai suoi paesani come l’esponente della famiglia a cui tributare rispetto. Se non fosse così piccolo, potrebbe apparire come investito della carica di reggente della cosca. Un altro primato di questa ’ndrina, così potente e così misteriosa: anime nere che hanno spinto persino i servizi segreti vaticani a scendere in campo.
Gli uomini della squadra mobile di Reggio Calabria e quelli del servizio centrale operativo( SCO) hanno arresato stamani all´alba due tra i piú pericolosi latitanti della Ndrangheta della piana di Gioia Tauro. Si tratta di Giuseppe Ferraro, detto Pepé, di Oppido Mamertina ricercato da oltre 18 anni e di Giuseppe Crea di Rizziconi, in fuga da piú di dieci anni. I due sono stati individuati all´interno di un bunker scavato in un costone nelle campagne di Maropati.Numerose le armi ritrovate " un vero e proprio arsenale " hanno dichiarato gli inquirenti che,oltre alle armi, pare abbiano trovato dei documenti ora al vaglio.
Gli davano la caccia da più di dieci anni a Giuseppe Crea, 37 anni, figlio del boss Teodoro, capo indiscusso della 'ndrina di Rizziconi e Giuseppe Ferraro, 47 anni, uno dei protagonisti della faida di Oppido Mamertina che ha inizio negli anni Cinquanta.
Ferraro, in particolare è un latitante storico. Le sue tracce si perdono nel lontano 1998, ma il suo nome rimbalza costantemente in ogni azione criminale perpetrata nel suo hinterland. Ferraro, era ricercato per associazione a delinquere e omicidi: era sfuggito all'ultima operazione denominata "Erinni", un'inchiesta che ha fatto luce su una serie di omicidi avvenuti nel 2012 a Oppido Mamertina. A lui e alla sua cosca, in particolare, i magistrati della direzione antimafia di Reggio Calabria gli contestano una serie di delitti tra i quali quello del boss Domenico Bonarrigo a capo della famiglia che con i Mazzagatti-Polimeni, erano in guerra con i Ferraro-Raccosta( corsera).
CETRARO Alla fine ha confessato l'omicidio dell'ex cognata uccisa perché ritenuta responsabile del fallimento del suo matrimonio. Per questo Paolo Di Profio, 46 anni infermiere con qualche piccolo precedente penale, è stato fermato con l'accusa di aver assassinato a colpi di piede di porco Anna Giordanelli. La donna, un medico 53enne molto conosciuto a Cetraro, è stata aggredita ieri pomeriggio intorno alle 16 in via San Francesco, nei pressi della sua abitazione mentre faceva jogging. A Di Profio gli uomini del capitano Antonio Villano – a capo dei carabinieri di Paola – sono arrivati dopo aver ascoltato alcuni familiari della vittima che avrebbero raccontato di dissidi tra la 53enne e l'ex cognato. Ma le conferme sarebbero poi giunte dalle immagini di una telecamera di sorveglianza che ha ripreso la vettura dell'uomo sia nel momento in cui è sopraggiunto sul luogo dell'omicidio sia nella corsa avvenuta subito dopo. Non solo: a casa di Di Profio i carabinieri hanno rinvenuto molte tracce di sangue e i vestiti, anch'essi ancora intrisi di sangue, che l'uomo stava accingendosi a lavare per disfarsi delle prove. E poi il rinvenimento dell'arma, che recherebbe le sue impronte digitali. Tutti elementi che hanno permesso di inchiodare alle sue responsabilità l'uomo che infine, al termine di un interrogatorio iniziato già alle prime ore del mattino, ha capitolato davanti ai carabinieri e ai pm Sonia Nuzzo e Maria Camodeca che, assieme al procuratore capo Bruno Giordano, coordinano le indagini. La richiesta di fermo per Di Profio è stata inoltrata dalla Procura al gip del Tribunale di Paola che dovrebbe già confermarla nelle prossime ore. Le indagini, comunque, non sono ancora concluse. Fonti investigative fanno sapere che si sarebbe trattato di un delitto d'impeto, non premeditato. E gli inquirenti non escludono altre iscrizioni nel registro degli indagati.
L'OMICIDIO Secondo la ricostruzione effettuata dagli inquirenti, la dottoressa attorno alle 16 di mercoledì si trovava nei pressi della sua abitazione – nella periferica alta di Cetraro – quando sarebbe stata affrontata dall'ex cognato. Sarebbero prima volate alcune parole e poi sarebbe scattata la vera e propria aggressione culminata con i colpi inferti all'indirizzo della donna raggiunta più volte al capo e poi anche al volto. A ritrovare la 53enne un passante che avrebbe poi chiamato i soccorsi. Giunti sul posto però i sanitari del 118 non avrebbero potuto fare altro che accertare la morte della donna. L'autopsia sul corpo della 53enne dovrebbe essere svolta domattina all'ospedale di Cetraro. Un passaggio ritenuto importante per compredere l'esatta causa del decesso della donna.
ENJOY SIENA: PRESENTATO AGLI OPERATORI DEL SETTORE IL NUOVO SITO DI PROMOZIONE TURISTICA
Si é svolto questo pomeriggio nella sala di Palazzo Patrizi, alla presenza del vicesindaco Fulvio Mancuso e dell´assessore al Turismo, Sonia Pallai, l´incontro di presentazione del nuovo portale di destinazione turistica Enjoy Siena agli operatori del settore.
Il sito é on line dallo scorso 20 gennaio, dopo il lancio avvenuto in occasione della conferenza stampa tenutasi a Firenze, alla quale ha partecipato anche l´assessore regionale Stefano Ciuoffo.
Nuova operazione delle forze dell’ordine contro il lavoro nero ed il caporalato nella Piana di Gioia Tauro: sono state controllate tre aziende agricole tra Rosarno, Candidoni e Taurianova. Nelle imprese sono stati scoperti 36 operatori agricoli utilizzati illegalmente, 18 dei quali extracomunitari, regolari. Alcuni lavoratori vivevano in condizione precaria, privi di servizi igienici.
Questa mattina, a Messignadi, frazione di Oppido Mamertina (RC), i Carabinieri hanno tratto in arresto MADAFFARI Domenico, di anni 47 da Messignadi, già sottoposto alla misura cautelare dell’obbligo di presentazione alla P.G., per il reato di evasione, in esecuzione all’ordine per la carcerazione emesso dal Tribunale di Palmi (RC), poiché condannato ad anni 1, mesi 1 e giorni 10 di reclusione, per i fatti commessi nello stesso centro abitato nel dicembre 2013.